L’ex attaccante del Cagliari campione d’Italia nel 1970 ha rievocato a Il Fatto Quotidiano un altro calcio, quello ancora genuino del tricolore rossoblù
LIVORNO. Corrado Nastasio è oggi un distinto signore baffuto. Si gode la “sua” Livorno, città che gli ha dato i natali 74 anni fa. Segue ancora il calcio, con la squadra amaranto nel cuore di cui difese i colori tra il 1965 e il 1968. Nastasio, attaccante alto 175 centimetri non molto prolifico, arrivò in Serie A nel 1968 con l’Atalanta. 5 reti al debutto lo misero in buona luce, tanto che visse il trasferimento a Cagliari l’anno dopo con la convinzione che rappresentasse per lui “quello della svolta nella carriera“.
PARADOSSO. Come sono andate le cose è storia nota. Prima riserva offensiva della rosa di Scopigno che conquistò uno storico tricolore, Nastasio dovette accontentarsi delle briciole dietro Gigi Riva e Bobo Gori. Appena due presenze, ad ogni modo sufficienti per iscrivere il suo nome nella storia del calcio italiano. L’ex rossoblù l’ha sempre presa con filosofia: “Devo la mia fama proprio al campionato dove non giocai!“, sottolinea Nastasio, sicuramente in un mix fatto da un pizzico di rammarico e dalla smisurata soddisfazione di aver participato a una grande impresa. Altro calcio, altri tempi. In cui chi “scaldava la panchina”, al fianco di Manlio Scopigno, doveva restare “seduto su ferro e legno. Mica esistevano le poltrone imbottite dei calciatori di oggi!“.