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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Calcio malato: quando piangi, ma sai che da sempre spendi più di quanto puoi

Il sistema pallonaro è in crisi, ma il Covid c’entra poco. La richiesta di far slittare i versamenti Irpef sugli ingaggi pare sia stata respinta. Discutiamone

Un pallone che rimbalza, il dribbling, la rete che si gonfia. Immagini che divertono e intrigano. Da sempre. Senza distinzioni di provenienza, geopolitica, censo, cultura, religione, etnia. Il calcio ammalia, regala magie e sogni. Ma anche amicizia e discordie. Il tifo che ne scaturisce annoda localismi e passione, certezze e dubbi, storia e sviluppo. Sì, una magia complessa, articolata e semplice al tempo stesso. Che in tantissimi colgono e sposano con piacere. Da un lato. Dall’altro, ci sono gioie e dolori. In ordine di tempo, con il pianeta squassato dalla pandemia, con risposte sanitarie, sociali ed economiche che fanno discutere ovunque, nelle dittature e nei paesi evoluti, tra le favelas e nelle nazioni industrializzate, con governi di destra, sinistra e centro, ecco il pianto della Serie A.

Con, a seguire, le legittime richieste per avere sconti, denari, meno tasse. Commentatori, esperti e osservatori hanno evidenziato l’evidente annaspamento della macchina pallonara, tra le prime dieci industrie del Paese. I presidenti parlano di collasso e default, lanciano appelli, chiedono deroghe. È stato presentato anche un piano per pagare meno tasse. Meglio, le venti società più belle del reame hanno cercato di infilarsi nel decreto Ristori. Per ora, non ci sono riuscite. Giusta o sbagliata che sia la domanda e la risposta, la situazione è e rimane delicata.

RISARCIMENTI PER I SOLITI NOTI O COLLETTIVI? La richiesta d’aiuto parte, per dirla senza troppi fronzoli, dal voler pagare meno tasse. Ovvero, non versare le ritenute Irpef. Le cifre? Per quattro mesi di Irpef – come spiega acutamente Lorenzo Vendemiale – si parla di circa 200 milioni di euro di tasse. Un bonifico che vorrebbero quanto meno rinviare di qualche mese. Il calcio produce un gettito fiscale di oltre un miliardo, di cui la metà da ritenute sui salari. Insomma, una partita importante. Che mette sullo stesso carro, direttamente e con l’indotto, decine di milioni di italiani. Passione e attività economiche che dietro un campionato condizionano pranzo e cena di centinaia di migliaia di famiglie. Dunque, guai ad analisi affrettate o, peggio, superficiali.

PALLONE SI, MA GLI ALTRI… Per dire, sarebbe sciocco non vedere i circa cento milioni della rata Sky ancora non ricevuta dai presidenti. O la mancanza di incassi, anche se la Figc li ha calcolati in circa il 10 per cento, il doppio se si tiene conto della vendita di maglie, gadget, sciarpe e tutto il resto. Invece, quel che fa la differenza sono gli stipendi. L’ingaggio di Cr7 e Lukaku, Godin e Ibra, Pedro e Gomez, Insigne e Belotti, Quagliarella e Biraghi equivalgono alla metà dei costi delle rispettive società. E va così ovunque. Eppure – rimarca Vendemiale – anche nell’ultimo mercato estivo, con il Covid che aveva già dato la mazzata e si apprestava a ridarla, il calcio-cicala, seppur con una leggera frenata, ha cantato. Ma, specie in questi casi, avere memoria è basilare. Il sistema è da tempo in crisi. Ha difficoltà a riformarsi e trovare accordi strategici.

SPENDE PIU’ DI QUANTO INCASSA. E sta cercando di vendere – intenzione buona e globalizzata, peraltro – una quota della giostra ai Fondi stranieri. Sul tema, si attendono vari pareri, a partire dalla Federcalcio. Intanto, il business pare garantito se i cambi di proprietà sono sempre caldeggiati, frizzanti e contesi. Infine, non va scordato che mentre altre industrie sono state chiuse senza se e senza ma (ristorazione, turismo, trasporti, cultura, sport e tempo libero, commercio, artigianato eccetera) con danni e sofferenze pazzesche per milioni di italiani, il calcio è tuttora “aperto”. Tiene botta, soffrendo, ma tiene. Un luna park che attrae, diverte, distrae, dà lavoro. Ma è spendaccione, ha ambizioni smodate, cerca notorietà e potere, gioca spesso sulla buonafede delle tifoserie. Il mosaico è in crisi. E non certo solo per colpa del Coronavirus. Riflessione aperta.

 

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