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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari, lo strazio prosegue

Un silenzio sbilenco e assordante. Quali strategie e figure per meritare di far parte delle candidate alla risalita in A? Le mosse e la lentezza del patron lasciano dubbi e perplessità

Dalle 22.53 di domenica 22 maggio sono trascorsi quattordici giorni. Domani, dopo altre dodici ore e poco più di un Cagliari che è precipitato vergognosamente in Serie B, parlano il dg e il ds. Direte, chi se ne frega. No, non può andare così. Soprattutto, se in queste ultime due settimane del futuro del club se ne è saputo poco o nulla. Certo, sarebbe bello poter pensare a un progetto, a fatti concreti, a prospettive, meglio se inclusive e condivise. Ma dopo otto anni di presidenza giuliniana non va, e non può andare così. Si dovrebbe avere pazienza. Ma è materia che oramai da queste parti scarseggia. I più simpatici dicono “compratelo tu”. Bravi. Intanto, preparatevi ai sabato pomeriggio e, con rispetto, al Cosenza e al Frosinone. La realtà è questa. Tutti a dire, ci si deve muovere in silenzio, serve tempo, anche le altre vanno piano (cosa vera solo in parte). Ma la questione del Cagliari è diversa.

Partiamo dall’ultima considerazione. La società precipita, viene assassinata da scelte scellerate e reiterate di gestione e di mercato, il quadro viene fatto a Milano senza alcuna informazione per la tifoseria. Poi, via ai nomi. De Rossi, Inzaghi, Andreazzoli e mio zio. Un titolo, magari insufflato dalla società, dai procuratori, dagli amici degli amici, mette in moto una giostra deliziosa e feroce al tempo stesso. Però, non se ne sa nulla. Direte ancora: è strategia. Visto come sono andate le cose negli ultimi cinque anni, c’è da preoccuparsi. Detto che ai tanti “va bene, signora marchesa” in servizio permanente effettivo, giganti da tastiera e, purtroppo, operatori dell’informazione, la cosa non fa né caldo né freddo, alcune osservazioni, specie se ci si vuole guardare onestamente allo specchio, sono obbligate.

Nell’ordine, Stefano Capozucca è sempre il responsabile del mercato rossoblù? Il direttore sportivo sarebbe andato via in caso di salvezza. Adesso, se è ancora in servizio, sarebbe corretto capire quali siano i margini di manovra. Perché siamo punto e a capo: il presidentissimo sta sentendo cinquanta probabili allenatori e ha per obiettivo vendere e fare denari dai tanti che la retrocessione, in misura e orgoglio differenti, hanno contribuito a raggiungerla e invece andranno via. Joao Pedro, Marin, Nandez, Cragno i più papabili. Il tesoretto – anche tenuto conto che ci si libera di ingaggi pesanti, decisi sempre dal padre padrone – si unisce al riscatto di Vicario e Simeone. Poi, c’è la grande plusvalenza su Bellanova: forse, l’unico gran colpo del pensatoio rossoblù. Poi, ci sono gli altri, Deiola, Pereiro, Altare, Carboni: se avessero richieste venderebbero chiunque possa avere un margine di redditività. Giusto, sbagliato, lo dirà il tempo.

Sprofondo rosso. La sensazione è, che senza aver incassato per ridare fiato alle casse sociali, si potrà sapere poco di quella che è la scelta delle scelte: l’allenatore. Gli interpellati – qualcuno per davvero, altri solo per tastare il terreno o per esigenze mediatiche – ben sapendo cosa hanno saputo e visto capitare in casa rossoblù, chiedono un ingaggio pesante e lungo con tante di quelle garanzie, dalla rosa all’autonomia decisionale, che neanche un mix Ancelotti-Mourinho-Klopp. Insomma, siamo alle solite. Ma il punto è anche un altro. Sarebbe plausibile che – come accade nell’imprenditoria in genere – se uno ha fatto passi più lunghi della gamba, non ha altri capitali da investire, si sia sentito deluso, travolto dalle sue stesse scelte, possa pensare di fare un passo indietro. Potrebbe essere il primo passo, con il tempo, per la riconquista del passaporto di umiltà, buon senso, rispetto della tifoseria e dell’intera Sardegna.

Negli ultimi anni hanno lasciato la serie A proprietà storiche o comunque in grado di andare avanti comunque (Spezia, Spal, Genoa, Palermo, Catania, Venezia, Roma, Milan, Inter e così via) e non sarebbe impensabile possa farlo anche il padre padrone del Cagliari. E l’obiezione “così finiamo nella mani di chissà chi”. Intanto, “siamo” in queste mani. Bocciate in campo, dalla retrocessione e da una sequela di stagioni orribili, e fuori, con l’Indice di liquidità e lo stadio nuovo che è ancora poco più di un modellino. Potrebbe andare anche peggio? Forse, ma potrebbe anche aprirsi un nuovo ciclo. Quel che commentate in tanti, purché sia un percorso competente, trasparente, dignitoso.

Poco lustrini e proclami, più serietà e competenza. La proprietà potrebbe essere anche giustamente convinta che si possa risalire in fretta. Legittimo. Tutti lo speriamo. Ma va detto che di Barella da vendere a cinquanta milioni di euro – il jolly giocato malissimo dalla proprietà – può capitarne uno ogni mezzo secolo. Certo, il lavoro sul settore giovanile è stato positivo fin dai tempi di Max Canzi. Ma non basta. Però, mi associo agli auspici dei tanti che segnalano i migliori cinque o sei della Primavera per la B. Che poi questo sia sufficiente a risalire o almeno a provarci, è altra storia. Ma un passaggio su Alessandro Agostini, e l’operazione “nostalgia” con Cossu e Conti al fianco, e le ultime tre giornate, è obbligato. Intanto, c’è da chiedersi se gli abbiano detto comunque grazie. Poi, sul fatto che negli ultimi venti minuti di Venezia-Cagliari – il film horror che nessuno in buona fede potrà mai dimenticare – non abbia dato il classico calcio al tavolo, magari prendendosi qualche mese di squalifica per scuotere i suoi, abbia levato Pavoletti, che non avrà i piedi di Van Basten, ma anche chi gioca in amatori sa che nei match a “balla sola” avere centimetri in area in un plausibile arrembaggio, serve.

O magari, abbia tenuto tre difensori dietro quando di fronte hai una squadra già retrocessa e a Salerno sono in fondo alla fossa. Poi, a posteriori, dal divano e dalla tribuna, si può dire tutto e il contrario. Fa da sempre parte del gioco. E i protagonisti sono pagati lautamente anche per sopportare le critiche. Ma adesso il Cagliari è in B. E se la vedrà con SudTirol e Cittadella. Ostiche mai mai quanto Genoa, Parma, Venezia, Benevento.

La catena di comando. La conferma di Capozucca, il mercato e l’allenatore. Più che i complimenti alla Salernitana e al Venezia e gli insulti a Caressa in diretta tv, sarebbe stato garbato e rispettoso per i tifosi, un messaggio di scuse e via. Dopo politiche disastrose, dalle figurine vintage ad altre decotte e non coinvolte nel progetto, e il licenziamento di un giornalista senza motivo, ancora prima dei Semplici e dei Mazzarri, responsabili o meno, cacciati o troppo presto o troppo tardi, ci si sarebbe aspettato ben altro. Invece, pare che tutti si sia vissuti su Marte negli ultimi sei anni.

La categoria non permette, di certo meno della A. Ma – come su tutto, potrei sbagliarmi – le mosse recenti denotano leggerezza e una supposta furbizia che non paga. Inoltre, sarebbero opportuni tempi umani. E siamo alle due settimane di nulla. In tante hanno già deciso. Al Cagliari decidono di non decidere. L’allenatore è prioritario. Le cessioni obbligate, pure. Gli acquisti last minute (i Keita e i Caceres del 31 agosto scorso, per dire) non sono mosse compatibili con chi rientra tra il novero delle candidate alla risalita. Che poi, su questo minestrone di inadeguatezze e dubbi, nascano i manifesti anti Giulini sparsi nell’intera area metropolitana, c’è poco da meravigliarsi.

Notarelle

I Dribbling sono la base per discutere. Serenamente, con l’animo di chi ha a cuore il destino del Cagliari. Scrivete che le questioni sono sempre le stesse: perché i fatti, e chi li determina, sono gli stessi. E lo scrivo con sincero rammarico. Mi chiamate per dirmi che ce l’ho con Giulini. Della persona poco mi importa, fatti suoi se ha la fama che ha. Cosa diversa è la figura che riveste: il club ha compiuto un secolo e chi lo manovra va monitorato passo passo. L’ho fatto anche con Cellino, mi ha prima querelato e poi ha fatto la remissione. E abbiamo continuato per anni, ciascuno dalla propria parte, né un centimetro in più né uno in meno.

Senza esitazioni, al netto di intimidazioni, proteste, manovre ad escludendum – tante e schifose nell’ultimo  periodo – il nostro ruolo è questo. Sia chiaro, gli eroi sono altri. E non penso solo ai profughi ucraini ma anche ai disoccupati, a chi schiuma per mettere assieme pranzo e cena, a chi si ammazza di fatica per milletrecento euro. Eppure, un filo di coraggio, e di schiena leggermente dritta, in più anche alla mia categoria non farebbe male. Ho pensato che questa rosa, mal assortita, pensata male e allestita peggio, potesse chiudere tra Bologna ed Empoli, intorno ai 36, 38 punti. Davo per certa la salvezza, stentata e maledetta.. Mi sono sbagliato. Adesso, ancora prima dell’esperienza di De Rossi e di Inzaghi – chiunque venga avrà comunque il benvenuto: i sardi non sono ospitali solo a parole – diventa decisivo capire quale sarà la cifra dell’immediato futuro. Incrociate le dita e toccate quel che vi pare.

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