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“A chent’annos”: le frasi da salvare del documentario sul secolo rossoblù

Nei giorni scorsi l’uscita del documentario firmato Sky sul centenario del Cagliari: “A chent’annos”. Un secolo rossoblù, attraverso le voci dei protagonisti e arricchito da autentici professionisti dell’emozione come Giorgio Porrà, Paolo Fresu e Jacopo Cullin

FILO. “Ho fatto un sogno stanotte”. Queste sono le parole che aprono “A chent’annos“, il documentario realizzato da Sky con la collaborazione del Cagliari Calcio, in occasione del centenario del club. Un viaggio ricco di colore e passione, rivissuto attraverso immagini, parole, note. Emozioni. Come quelle regalate a piene mani dal trio isolano che ha tenuto in mano questo filo conduttore lungo cento anni: il giornalista sportivo Giorgio Porrà, composto e coinvolgente; il musicista jazz Paolo Fresu, dispensatore di brividi da vivere ad occhi chiusi grazie alla sua tromba, liberata sul mare di Sardegna; l’attore Jacopo Cullin, abile tessitore delle vicende identitarie legate alla squadra, dei risvolti sociali e interiori in tinta rossoblù. Abbiamo recuperato le “frasi da salvare”. Con un ultimo, irrinunciabile contributo…

Le cronache di quel giorno raccontano che Alberto ‘Cocchino’ Figari, studente di medicina, segnò tre gol. L’antenato dei tanti bomber che avrebbero successivamente indossato la maglia del Cagliari”. (Giorgio Porrà, la prima partita del Cagliari)

Sai cosa ci ha fatto venire voglia di scavalcare questo mare? Il calcio. Quel pallone ha fatto da ponte verso il Continente. E allora abbiamo smesso di sentirci piccoli, trascurati”. (Jacopo Cullin, il racconto del nonno)

A Berchidda, nel mio paese, ricordo lo scudetto. Un ricordo molto bello. Come se la vittoria dello scudetto del Cagliari avesse ridato vita alla nostra Isola. Non una vittoria del Cagliari, ma di tutta la Sardegna”. (Paolo Fresu, il valore della squadra rossoblù)

Questo scudetto è come aver scalato l’Everest, senza sapere di andare in montagna. Abbiamo vinto contro i poteri economici del nord; una terra povera in cui nessuno voleva andare. Abbiamo usurpato i poteri esistenti: per noi, questa è stata una grandissima soddisfazione. La parola ‘scudetto’ fu pronunciata per la prima volta da Scopigno a Bari, alla fine del girone d’andata. ‘Se non perdiamo oggi, vinciamo lo scudetto’. Avrebbe avuto ragione lui”. (Giuseppe Tomasini, la vittoria dello scudetto)

Dopo dieci minuti dall’inizio della partita, Scopigno aveva il dono di vedere i giusti correttivi da fare e li applicava. Una qualità che ha sempre avuto”. (Ricciotti Greatti, il profilo di Scopigno)

Eravamo una squadra legata, bastava uno sguardo per capirci”. (Pierluigi Cera, l’unità del gruppo)

Se c’è una cosa che è sempre mancata nei confronti di noi sardi, è un pizzico di rispetto. Tranne che per lo scudetto”. (Jacopo Cullin, l’identità sarda)

L’inizio della fine e dell’incantesimo rossoblù. Dopo l’infortunio di Riva al Prater, il Cagliari non sarebbe più stato lo stesso. Nonostante il suo successivo rientro e il solito contributo a suon di gol, il declino fu inarrestabile. Presidenti e allenatori si alternarono, affannandosi per trovare un rimedio. Nel 1975 la retrocessione fu scongiurata: la sentenza solo rinviata all’anno successivo, aggravata dalla notizia ancora più drammatica dell’ultimo infortunio a Riva. Dopo 12 leggendari anni di Serie A, la Sardegna intera fece un passo nel vuoto. Tornò in B. Il Rombo di Tuono smise di echeggiare, il cielo sopra Cagliari non era mai stato tanto plumbeo”. (Giorgio Porrà, il declino del grande Cagliari)

Il bicchiere era mezzo pieno, anzi traboccava di entusiasmo, ammirazione, ricordi. Ma dopo tutta quella baldoria, quello stesso bicchiere restò vuoto. La festa era finita. E quella piazza dove avevano festeggiato, ballato… improvvisamente era diventata deserta, muta, buia”. (Jacopo Cullin, la caduta in B del 1976)

C’era la passione e il sacrificio. Perché anche giocando, non vedevamo soldi per tre-quattro mesi. E diventava dura, quando si andava a chiedere lo stipendio e si riceveva la risposta ‘Non c’è’. Allora tornavi al campo, ti allenavi ancora, sperando che…” (Roberto Quagliozzi, quando essere professionisti andava oltre i sacrifici economici)

L’avvocato Mariano Delogu ci diceva allora: ‘Vi pago quando viene a giocare la Juventus’. E così puntualmente saldava”. (Gigi Piras, gli stipendi in ritardo)

Ci dovevamo sudare il rinnovo del contratto. Correre, sempre. Sacrifici, sempre. Sembrava che il nostro mondo fosse tutto rose e fiori, ma bisognava sudarsi tutto. Rimanere nella categoria e restare in squadra”. (Giuseppe Bellini, un calcio che non c’è più)

Il nostro Cagliari ha il miglior risultato dai tempi dello scudetto. Questo ci fa capire, soprattutto oggi, l’importanza di ciò che abbiamo fatto. Noi giocavamo soprattutto per divertirci. Non avevamo velleità di essere importanti. Eravamo un gruppo di ragazzi che voleva giocare a calcio e che ha dimostrato di poter essere da Serie A. C’era sintonia, amicizia. Quando il risultato era acquisito, si faceva subentrare un compagno affinché prendesse il premio partita intero e non al 70%. Era una famiglia!”. (Gigi Piras, i valori)

Arrivavamo dalla gestione di Luisito Suárez, un signore. Ricordo l’abbondanza dei pasti in ritiro, con lui. Ci faceva scegliere tra tre primi, tre secondi… Con Lauro Toneatto, invece, dovevamo accontentarci del pane duro di cinque giorni prima!”. (Gigi Piras, gli aneddoti sull’alimentazione)

Cagliari è stata la pietra miliare. Devo ringraziarvi. Perché da lì è iniziata davvero la mia carriera”. (Claudio Ranieri, rivolto a Mario Ielpo, Lucio Bernardini e Carlo Cornacchia, e la riconoscenza per l’avventura rossoblù)

In Sardegna si sente quell’imprescindibile attaccamento alla terra, una cosa che sentivo e mi è sempre piaciuta. Così come mi è sempre piaciuta l’idea di essere a capo del desiderio di ‘rivalsa’ dei sardi“. (Claudio Ranieri, il senso di appartenenza)

Ognuno aveva il suo coro da parte dei tifosi!”. (Mario Ielpo, la passione dei tifosi al Sant’Elia)

Francescoli irradiò la sua luce per tre stagioni. Ampiamente sufficienti, per conficcarsi nel cuore dei sardi come un proiettile sparato a bruciapelo”. (Giorgio Porrà, l’arrivo di un fuoriclasse)

A Cagliari ho vissuto tre anni fantastici. Di Carlo Mazzone ho dei bei ricordi: un allenatore grintoso e sanguigno, anche se qualche volta ci scontravamo. Le prime immagini che ritornano nella mia mente, quando ripenso a quegli anni, sono le spiagge della Sardegna e il Sant’Elia. Il mio passaggio al Cagliari è stato uno dei migliori, non solo calcisticamente ma per la mia vita. Tantissimi ricordi che porterò sempre dentro”. (Enzo Francescoli, i ricordi cagliaritani)

Bruno Giorgi, nella gestione del gruppo, era un grande. Eravamo legati alla squadra, alla città, alla Regione. C’era un senso di appartenenza importante. Quelli di Cagliari sono stati gli anni più belli della mia vita”. (Matteo Villa, capitano di lungo corso)

Il giorno dopo della conquista della promozione alla guida del Sassuolo, il presidente Cellino mi chiamò: ‘Vieni ad allenare il Cagliari’. Una cosa che avevo dentro, che sentivo mi avrebbe dato tanto se le cose fossero andate bene. Io sono tuttora molto legato alla Sardegna e ai sardi”. (Massimiliano Allegri, a Cagliari in campo e in panchina)

Sono orgoglioso di aver fatto parte della storia di questa società”. (Aldo Firicano, la lunga rincorsa fino all’Europa)

Ho giocato sei anni e mezzo in Inghilterra. Ho lasciato un contratto importantissimo per tornare nel Cagliari. Ogni volta che ritornavo nella mia terra, il momento più bello era quando l’aereo su cui viaggiavo apriva il portellone: un’aria completamente diversa, un’energia clamorosa. Riesci a percepire i profumi del mirto, della salsedine. Credo sia una sensazione che provino tutti i sardi”. (Gianluca Festa, la nostalgia per le radici)

Quando mi chiamò Cellino per chiedermi di tornare a Cagliari, rimandai i dettagli del contratto. Desideravo solo sapere a che ora avrei dovuto prendere l’aereo!”. (Vittorio Pusceddu, il ritorno nella propria terra)

Sapevo di andare a Cagliari, per fare qualcosa che avevo sempre desiderato. Abbiamo creato un gruppo fantastico, che la gente si ricorda ancora. Senza il riferimento del Cagliari, quando iniziai a giocare nel mio paese, non sarebbe stato forse possibile diventare il giocatore che sono stato. La ‘sardità’ è stata fondamentale nella mia carriera. Quando sono triste o c’è qualcosa che mi disturba, penso a quegli anni e un sorriso viene fuori da dentro. Un’arma importante che ti serve per il futuro”. (Gianfranco Zola, campione a tutto tondo)

Il Cagliari è stato la mia vita. Sono cresciuto calcisticamente e come uomo. Ricordo Davide Astori sempre sorridente, mi ricordo ancora l’ultima volta che ci siamo incontrati sul campo. Ho difficoltà a parlare di lui, difficile descrivere il vissuto insieme”. (Diego López, Cagliari e DA13)

L’amore per la maglia è quello che, quando hai perso una partita, ti porta a restare fino al giovedì chiuso in casa perché stai male. Una cosa che ti portava ad andare oltre té stesso”. (Andrea Cossu, attaccamento ai colori)

Tra di noi bastava uno sguardo. E quei ricordi fanno venire la pelle d’oca, perché restano dentro di noi”. (Alessandro Agostini, fratellanza in campo).

Sono arrivato giovanissimo, a 19 anni. Ogni anno che passava sentivo di più l’amore verso questa maglia. Qualcosa che mi ha spinto a rimanere così a lungo, anche dopo la fine della carriera da calciatore”. (Daniele Conti, da ragazzo a uomo rossoblù)

Le responsabilità le sentivo, a volte non facevano nemmeno dormire la notte. Ho trascorso otto anni a Cagliari, quelli che mi hanno reso più forte in tutti i sensi”. (David Suazo, El Rey)

Ora so perché il rosso di questa maglia è così intenso, il blu così profondo”. (João Pedro, il capitano di oggi)

A proposito: c‘ero anche io, eh? Avete raccontato una storia bellissima“. (Gigi Riva, chiusura)

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