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IL DRIBBLING DI… MARIO FRONGIA: Cagliari, un film già visto

Il Ninja non arriva, l’esterno Ounas in rossoblù. Gli auspici di Eusebio Di Francesco erano altri. Difficile nascondere che ci sarà da stringere i denti

Radja Nainggolan addio. Adam Ounas al Cagliari. L’esterno del Napoli è un bel colpo. Basterà al bisogno? Intanto, il mercato si chiude con l’insufficienza piena. Sarebbe servito anche un terzino sinistro. Amen. E chissà qual è il pensiero di Eusebio Di Francesco, dritto per dritto nel dopo manita subita a Bergamo: “Mi aspettavo rinforzi, spero arrivino. Non basta solo Nainggolan, serve altro” la sintesi delle parole del tecnico nel dopo Atalanta. La sensazione? È serio. Ingoierà il rospo, farà ammuina e ci darà sotto con il lavoro. Adatterà il modulo e affinerà la linea arretrata, piazzerà Joao Pedro più vicino all’area avversaria, darà libertà di svariare a Nandez, chiederà a Rog i raddoppi dalle parti di Lykogiannis o chi per lui, aspetterà Marin, si augurerà che Cragno non abbia neppure un brufolo, chiederà gli straordinari a Godin, cercherà di svezzare in fretta Zappa, Caligara, forse Tripaldelli (che è costato un promettente e pronto Romagna) e Tramoni. In tanti scrivono: ma Bradaric e Oliva sono messi peggio del regista ex Ajax? Qualcuno osa: Cigarini era da salutare (per inciso, in modo per nulla elegante, lasciando le responsabilità al Walter Zenga di turno)? E Pajac a sinistra è così improponibile? Misteri. Come i dieci milioni – l’ha detto il club – spesi per Cerri. O gli affari non chiusi (prima e ora, da Kjer a Goldaniga, Fazio, Juan Jesus, con Pereiro preferito a un centrale con il Cagliari alla canna del gas in difesa: ma è ovvio, la colpa è stata tutta di Maran e Carli!) anche per non voler pagare le provigioni agli agenti: come se per Barella l’Inter non avesse dato al procuratore della mezzala, Beltrami, quanto dovuto. E l’affare fosse andato per aria. Un dramma già visto fin dal primo anno di cambio di proprietà. Intanto, sarebbe folle chiedere – dopo Sassuolo, Lazio e Atalanta – magie al tecnico. Dunque, pazienza e ancora pazienza. Fattore che nei tifosi deve andare alla pari con competenza e passione. Dopo la sosta si riparte dal Piemonte, sponda granata. Scongiuri e dita incrociate.

Rabbia e amarezza. Tra i tifosi in tanti lo chiamano “il milanese che tifa Inter”. Altri sintetizzano: “Vuol fare lo stadio per rivendere a 100 quel che ha pagato 30”. C’è chi si arrende: “Un’altra annata con una squadra costruita male”. Il tifoso, come il cliente, ha sempre ragione, non foss’altro perché mette il gettone nella giostra-pallone quinta industria del Paese, tra biglietti, abbonamenti allo stadio e alle pay-tv, merchandinsing e altro. Senza scordare che il Cagliari porta sulla maglia – al prezzo di circa nove milioni di euro annui, provenienti dalle casse regionali, ovvero denari di tutti, tifosi o meno – un pezzo di Sardegna con il logo Isola. Non sono tanti i club di A e B che vantano lo stesso supporto. Ma ci sta. Però, nel calcio fabbrica di sogni e illusioni, non si può evitare di fare i conti con parole, indicazioni, progetto. Altri lettori di buona memoria ricordano l’idea Zeman – con un rosa inadatta al tecnico e le fazioni dei senatori nello spogliatoio – le fucilazioni annunciate di Zola (gli promisero quattro acquisti, ebbe Gonzales, Brkic, Husbauer, Cop, MPoku, Diakité) e Festa, nonostante i 13 punti in 7 gare. Di Rastelli e Maran, altri progetti imbastiti e abbandonati ai primi refoli, talvolta pilotati, di vento, inutile dire: piaccia o meno, attorno ai due è stata fatta sommaria ingiustizia. Ma i numeri, e i record, rimangono. E guai a chi parla di gioco-non gioco: forse, a tratti, negli ultimi vent’anni solo Allegri e Donadoni, hanno innovato atteggiamento e gioco. Il resto, da Reja e Arrigoni dell’era Zola, ma anche la salvezza-miracolo con Ballardini, l’avvio doc con Giampaolo e la buona stagione con Ficcadenti, hanno avuto tutto meno che un marchio tattico attribuibile solo all’allenatore.

Il piatto semivuoto. Adesso, si chiude un mercato più o meno fallimentare. La premessa è d’obbligo: com’è che il Cagliari cambia i direttori sportivi, tasselli chiave di una società organizzata, come fossero Kleenex? Da Francesco Marroccu a Stefano Capozucca, Giovanni Rossi e Marcello Carli. Fino al povero Pierluigi Carta, catapultato sulla sedia più delicata di una squadra di calcio professionistico senza un minimo di apprendistato in un mondo feroce, complice e consenziente in cui relazioni e scambi, mutuo soccorso e risoluzioni condivise, sono state costruite nel tempo. Comunque sia, un teatro di certo poco disposto a fare sconti ai nuovi arrivati. Eppure, il buon Pierluigi è stato mandato in trincea con, forse, un elmetto di cartone e la pistola ad acqua. Perché, che altro può dirsi di chi ha il compito in piena pandemia, con le squadre che badano a risparmiare anche l’euro che non hanno, di risolvere l’impasse degli esuberi et similia quali Cerri, Ceppitelli, Despodov, Carboni, Ragatzu, Birsa, Ladinetti, Pajac, Pinna, Vicario, forse Pavoletti (che pare sia stato offerto a quasi tutti), Pisacane, Oliva. Mentre scriviamo, a mercato chiuso da una manciata di minuti, può anche essersi risolto qualche passaggio last minute. Bene. Ma la sostanza cambia di poco. E si annuncia, nella sentita speranza di essere smentiti, un’annata di transizione. Ci sarà da soffrire per una musica, purtroppo, già vista e sentita.

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