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Srna: “Sono un lottatore, non mollo mai. La gente di Cagliari mi apre il cuore”

Terza parte dell’intervista della Gazzetta dello Sport a Darijo Srna: il presente e la scelta del Cagliari, la famiglia e il futuro.

L’INTERVISTA. La vita di Darijo Srna è stata un viaggio pazzesco. Uomo con la U maiuscola, Srna ha vissuto due guerre tra Croazia da bambino e Ucraina da adulto. Poi la battaglia personale con la Wada per il caso doping. La lunga carriera in Nazionale e una vita passata allo Shakhtar. Ma ora c’è il Cagliari, la famiglia e il futuro.

Darijo Srna si racconta in un’intervista a La Gazzetta dello Sport. Ecco la terza parte (qui la prima; qui la seconda).

LA SCELTA.Perché ho scelto il Cagliari? È l’unico club che mi ha veramente volutoMa poi uno deve andare dove gli dicono il cuore e la testa. Prima di decidere ho preso informazioni. Giovanni e Giacomo Branchini, che non sono i miei agenti, ma amici, mi hanno parlato dell’ambiente, poi mi ha chiamato Pavoletti, che mi piace molto”.

CON I COMPAGNI.Pavo ama scherzare, come me, ed è un grande attaccante: non mi permetto di entrare nel mestiere di Mancini, ma meriterebbe una chance in Nazionale. Vi manca il bomber? Eccolo. E Barella in un paio d’anni diventerà il leader degli azzurri”.

RISCATTO.Ora vorrei un po’ di pace. Ho provato a trovare il lato buono anche nella squalifica. Non avevo mai fatto vere vacanze e ho potuto riposarmi. La mia vita è stata piuttosto stressante. Ma poi mi guardo indietro e penso: in Croazia sono venuti a confiscarci la macchine, ora ne ho due e un’altra bella casa, quindi ho vinto la mia guerra”.

FAMIGLIA. “Sono un lottatore, mia moglie pure. E’ più ambiziosa di me e per mia figlia ha voluto una scuola a Londra, quindi ora fanno la spola fra Sardegna e Inghilterra”.

PASSATO E FUTURO.In futuro mi vedo quello che ero da ragazzo, come era mio padre: uno che combatte. Non mollo mai e senza l’insegnamento di mio padre non sarei quello che sono. Quando venivano a cercarmi gli osservatori diceva: mio figlio non si compra con i soldi. Mi sono trasferito all’Hajduk perché Stimac, un amico di famiglia, lo ha convinto. All’inizio è stato difficile, però nella mia vita non c’è stato niente di semplice”.

E PRESENTE… “E ora mi trovo in quest’isola piena di luce, con un pubblico splendido. Negli ultimi anni passati in esilio lo Shakhtar giocava nel deserto: quando entro in campo e vedo lo stadio pieno mi si allarga il cuore. Mi sembra di tornare indietro di dieci anni”.

Leggi il resto dell’intervista: qui la prima parte; qui la seconda.

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