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Da oggi nei cinema italiani il film “Nel nostro cielo un rombo di tuono” di Riccardo Milani. La pellicola celebra il più grande di sempre. Luoghi, persone, lacrime e gioie. Testimonianze e commenti di pregio per il bomber dei bomber, patrimonio del calcio, dei sardi e dell’umanità

Ci sono i suoi silenzi. Immersi nel fumo delle Marlboro, dei pensieri, dei dolori e delle gioie, che vanno indietro nel tempo. Un’infanzia difficile, incertezze, lavoro. Lutti, pesantissimi. La maglia 11, il Cagliari, la Nazionale. Il calcio, e un talento che mette paura: “Guadatelo quando parte palla al piede, vi verrà un brivido” disse di lui Pelè. Il pallone, le sue curve, come favoloso antidoto alla miseria. Dotato di un sinistro irripetibile, capace di abbracciare per sempre il Cagliari. E i sardi. Dio laico, uomo schietto e tenebroso, Gigi Riva da Leggiuno, icona di riscatto e salvezza. Riccardo Milani lo racconta con “Nel nostro cielo un rombo di tuono”. Il regista – autore di pellicole di pregio, da “Benvenuto presidente!” a “Un gatto in tangenziale” – racconta l’ultimo mezzo secolo di un’intera isola. “Vengo in Sardegna dal 1975. Quando ho visto in un bar le foto incorniciate di Antonio Gramsci, Enrico Berlinguer e Gigi, ho capito meglio di che pasta siate fatti. Di quali siano le vostre caratteristiche, dal senso di appartenenza allo spirito libero. Per questo ringrazio Gigi e la Sardegna” dice Milani.

Valigie di cartone, miseria e orgoglio. La Saras e le ciminiere di Ottana, gli emigrati, la rivolta di Pratobello, operai, pastori, pescatori e contadini di una terra e di un mare spesso infido, tosto, pericoloso. Gigi che sorride, al Poetto, è uno spot che regala una scossa. Gigi che si racconta, nell’intimità del suo salotto con Beppe Tomasini e Sandro Camba, è una rivoluzione. I commenti di Roby Baggio, Gianfranco Zola (in un Sant’Elia a pezzi), Sandro Mazzola, Massimo Moratti, Comunardo Niccolai, Ricky Albertosi, Gigi Buffon, Bobo Gori, Ricciotti Greatti, Adriano Reginato, Piero Cera, Nicolò Barella, Stefano Arrica, Gianfranco Matteoli, mettono i brividi. Ci sono i figli del mitico Marius e di Martino Rocca, Stefano. Gigi è in poltrona, a casa sua nel centro di Cagliari. Autorecluso, da anni, in pace con il mondo e con se stesso.

Fuma e guarda una bacheca ricca di cimeli, targhe, coppe. Appaiono i figli Nicola e Mauro. “Gigi è stato coerente, coraggioso di quel coraggio che se ne avessimo tutti un po’ di più andrebbe molto meglio” dice Riccardo Milani. Al cinema Odissea, nella premiere mattutina per i giornalisti, si godono le reti della leggenda anche Leonardo Pavoletti e Roberto Muzzi. “Gigi era fuori classifica, eravamo un gruppo fantastico guidato da un grande allenatore. Ma senza i suoi gol non avremmo mai vinto il titolo” dice Angelo Domenghini. “Se non l’avessero fratturato avremmo vinto anche il secondo scudetto” aggiunge Beppe Tomasini.

Il libero dello scudetto dà una notizia: “Mio nonno era partigiano!”. Si parte. Gigi in collegio, ne girerà tre, in Nazionale giovanile, catturato da Andrea Arrica, con Arturo Silvestri all’Amsicora. Si parla di Graziano Mesina e altri latitanti. Intanto, scorrono le immagini dei gol. Lui, ombroso e riservato, faceva impazzire le donne. In campo, veniva randellato come pochi. Appare il compagno di qualsiasi gioco, qualsiasi lavoro e qualsiasi missione, anche impossibile, che chiunque avrebbe voluto al fianco. A scuola, in campo, nella quotidianità. Gigi che divide sigarette, whisky e timidezza con Fabrizio De Andrè. “Nelle canzoni esprimeva quel che pensavo, sulla vita e sulle persone. Fabrizio, mi ha regalato la chitarra. Io una mia maglia”.

Terra di contrapposizioni sociali. Da Orgosolo a Cabras, dai centenari alle vecchine che lo venerano come un figlio. Passando per i Tenores barbaricini, i balli e le poesie. Scorrono le vie di Pula, Mamoiada, Oristano, Sedilo, Tonara, Terralba. Dai giornalisti Bachisio Bandinu, Antonello Madeddu e Mario Guerrini, al ristoratore di fiducia, Giacomo Deiana, Lo ricordano in tanti. Volti severi, scolpiti da sole e vento. Prende corpo un volo leggero e catartico, irripetibile e stordente. Un sentiero che va oltre il calcio, prende per mano diverse generazioni, si consolida con la vittoria degli Europei del ’68, lo scudetto, il secondo posto ai Mondiali del Messico. Poi, c’è la valigia da team manager dell’Italia.

La riuscita alchimia firmata Milani. “Ricordo di aver fatto un tema su Gigi Riva alle elementari. L’ho inseguito per vent’anni” dice Riccardo Milani. Il regista mostra sensibilità e vicinanza. Gigi ha ricambiato. “Significa che ha capito quel che ho sempre pensato di lui. Di lui e dei suoi valori. Del rispetto per gli altri, della ritrosia a mostrare quel che non serve, del voler custodire emozioni e sentimenti con un rigore morale ed etico elevatissimo: Riva ha affermato nei fatti che non tutto si può comprare”. L’ala sinistra, la 11 messa in una teca, sforbiciate e incornate a colo d’angelo.

La punta e l’uomo. Granito puro. Onestà e valori che non ammettono intercessioni. L’attaccante che offre amicizia e attenzione solo dopo aver scelto, pensato, capito le intenzioni dell’interlocutore. “Se ci fossero più Gigi Riva, il mondo sarebbe migliore” rilancia il regista. La storia, dunque. Con l’Amsicora e lo scudetto del ’70, Scopigno e gli altri del tricolore. Un film in bianco e nero, intenso e toccante. I ragazzini dietro il tram che va al Poetto, appesi agli alberi dello stadio, pronti a imitarlo in qualsiasi cortile. Emozioni che rimarranno per sempre a colori.

Pallonate e lezioni di vita. Milani racconta l’uomo e il mito, il bomber recordmen da quasi mezzo secolo della Nazionale, 35 reti in 42 partite. Mette in fila le gambe spezzate in azzurro. Narra dei tanti a cui ha sempre detto no. Anche a Franco Zeffirelli, che gli avrebbe voluto affidare il ruolo cinematografico di San Francesco. No alla Juve dell’avvocato Agnelli e di Giampiero Boniperti. No alle altre grandi del pallone. Sì ad Andrea Arrica, che lo strappò al Bologna. Sì a una Sardegna rurale, povera, umile, poco istruita e sfruttata. Sì a Martino Rocca, il pescatore, e a pochi altri. Sì alle corse in macchina, la Dino Ferrari, nel cuore della notte sulla Carlo Felice con Boninsegna che ancora oggi dice di “non aver avuto mai così tanta paura!”. Sì al giocare con un pensiero per gli altri: “Mario (Martiradonna, ndr) deve finire di pagarsi la cucina, cerchiamo di vincere”. Unico, diretto, incorruttibile.

Gigi Riva che, da team manager dell’Italia che vince inaspettatamente i Mondiali di Germania nel 2006, lascia il bus che sfila per Roma quando nota che alcuni politici colgono l’occasione per stare in vetrina. Gigi Riva che fonda la Scuola calcio. Che accetta di incontrare e di farsi intervistare da un giovane che cerca di lasciarsi alle spalle l’eroina. Gigi Riva che si commuove quando, negli anni Settanta, sulle mensola del caminetto di una anziana signora di un paesino dell’interno, vede la sua foto accanto a quelle di Fra Ignazio da Laconi e della Madonna di Bonaria.

I suoni e le voci. Con Piero Marras, Tazenda, De Andrè per colonna sonora. I colori del mare, i tavolini di piazza Yenne, i bus e i tram per il Poetto. Riva, sposato a una squadra, una maglia, un’isola. Di più, a un’idea di sardità inossidabile. Etnico e identitario come pochi. Un volto da indio, duro e scolpito dalle smorfie quasi quanto le maschere della Barbagia. Mamuthones e voragini di tradizioni e riti, preghiere e lacrime. Schivo, riservato, fedele a se stesso. Il film, due anni di riprese, non ha mai avuto uno stop. Riva non ha mai chiesto di vedere qualcosa. Lo scoprirà solo adesso.

Si rivedrà al Poetto, cielo nuvoloso e creste di schiuma nella distesa del golfo degli Angeli. “All’ultimo ciak è consuetudine l’applauso corale che chiude le riprese. Eravamo dentro casa di Gigi, una troupe di una trentina di persona. Tutti abbiamo applaudito con sincero entusiasmo. Siamo andati via e mi accorgo di aver lasciato su il ciak. Chiamo Nicola (Riva, ndr) che era ancora con il padre. Gli chiedo di portarmelo: “Scusa, Riccardo. Papà mi chiede se può tenerlo!”. E chissà se è una coincidenza che nel film non ci sia una sola parola sul fatto che dell’attuale Cagliari in mani milanesi sia il presidente onorario. “Nel nostro cielo un rombo di tuono” arriva al cinema oggi. È vietato perderlo.

Notarelle

Precisazione doverosa. Il Dribbling post SudTirol ha avuto un titolo, a causa di un disguido redazionale, che è mutato nel giro di poche ore. E ha tratto in inganno lettori e tifosi. Dunque, nessun “Qualcosa si muove”. E tranquillizzo i tanti che mi hanno scritto personalmente: sono sempre al mio posto, né un centimetro avanti, né uno indietro. Sono e rimango, a meno che non ci sia un onesto, concreto e trasparente ribaltamento, convinto che la gestione giuliniana sia stata bocciata in campo e fuori. Da anni avvinghiata con problemi e interessi extracalcio. solitaria, incompetente, senza progetto, pomposa e ricca di proclami. Che Liverani rimanga o vada via, cambia poco. Evidentemente la testa trasmette difficoltà al gruppo squadra. Comunque, se vi riguardate il secondo tempo di Bolzano, scoprirete che con l’atroce prova di Ascoli, o quelle in casa con Venezia e Brescia, c’è qualcosa che va meglio. Anche se a un quarto di campionato la A è ancora molto lontana.

 

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