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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari, ottimismo e cautela

Il new deal con applausi ben ripartiti tra Mazzarri, squadra e club. Ma guai a volare alto, per mantenere la categoria si deve ancora lottare

Mi scrive un amico che sa di calcio e ha profonda e onesta fede rossoblù: “Non rompere le scatole, un centrocampo con Rog, Marin, Grassi e Nandez farebbe faville. Ammettilo, non sarebbe da squadra terzultima in classifica”. Vero, lo ammetto. Il Cagliari nel 2022 marcia a ritmi da Champions, dopo aver chiuso il girone d’andata con 10 punti e navigato tra le ultime tre della classifica per quattro mesi, con uno degli attacchi più sterili e tra le peggiori cinque difese, il nastro è stato riavvolto. E siamo tutti molto contenti del filotto. Battute Samp, a Marassi, Bologna in casa e Atalanta a Bergamo. Pareggi, amari per come sono maturati, con Fiorentina, Empoli e Napoli. Unico neo, la sconfitta con la Roma all’Olimpico. Comunque sia, 12 punti in 7 partite. Sì, la media non ha nulla da spartire con quel che si è visto da agosto a dicembre.

Dunque, complimenti al tecnico, al gruppo squadra e al club, esattamente in quest’ordine. E con percentuali che fanno capo al campo, arbitro supremo: 25 Mazzarri, 65 i giocatori, il resto alla società. Poco, troppo, giusto? Vedete voi. Adesso, con la pancia piena e l’umore in crescente risalita, si gioisce ed è giusto che sia così. I tifosi soffrono quando la propria maglia viene sgambettata, non rispettata, sudata a malapena. Poi, sfogano la gioia dei bambini di fronte ai regali di Natale non appena arrivano segnali di riscossa, successi, rivincite. Va così, da sempre. Nella vita di tutti i giorni, allo stadio e a casa: quel che ci piace ci rende felici e fa diventare meno ripide le salite, la sveglia alle 6, la fatica. Poi, c’è il progetto, il campo, le ambizioni, le promesse millantate, a vuoto o, di rado, mantenute. E chissà se tutto questo ha un senso, nel giorno in cui la Russia invade l’Ucraina.

CRONACA, PASSIONE E DESIDERI. I giornalisti, le foto e i pezzi narrano i momenti dello sport, quelli bui e gli altri che splendono. Tutti. Dalle partite avulse, senza anima né cuore, a quelle che hanno dato emozioni, un senso e un obiettivo alla tifoseria. Poi, ci sono le risposte che arrivano dal campo, domenica dopo domenica o negli altri giorni dello spezzatino tv. Il cronista deve mettersi di fianco, né un centimetro avanti né uno indietro. Deve avere memoria, ricordare proclami, slogan e fatti, artifici e manipolazioni. Ha il dovere di osservare, confrontare, verificare. Anche quando le cose vanno bene, con spirito critico e argomenti che stiano in piedi. E siano utili e seri, quando il quadro si complica. Altrimenti, si va sui blog, per strada o sui social. Umberto Eco diceva che “prima di internet il commento di un ubriaco al bar si chiudeva in una sera tra le battute degli altri avventori. Invece, con l’avvento dei social, quel che dice un imbecille vale come il parere di un premio Nobel”.

Dunque, meglio fidarsi reciprocamente, discutere, confrontarsi e sapere cosa si va a leggere, sempre che lo si voglia leggere. Poi, ciascuno si fa una propria idea. CalcioCasteddu è una testata registrata in tribunale. La coordinano, ci scrivono e ci mettono la faccia colleghi di valore, corretti, attenti. Rispettosi degli interlocutori, cosa che spesso non ha reciprocità, ed è un male. Trovate – ed è puntuale, straordinaria e straripante la vostra risposta – servizi con spunti, tagli e visioni diverse. La diversità è un bene prezioso. Tutta questa tiritera per riannodare i fili e dirvi che è vero, il mio amico ha ragione. Ma, per stare al centrocampo, Rog è infortunato, Strootman era in panca fin da prima dell’intervento chirurgico, Nandez è ancora alle prese con una botta e, così a naso, se ne sarebbe andato da un pezzo. E anche Marin non è al top. Ma è utile.

LA REMUNTADA. Adesso, si può accennare un lieve sorriso. Il Cagliari di Mazzarri, che ha pagato in avvio il grande caos societario – se l’allenatore viene silurato dopo tre turni, qualcosa non funziona nel progetto o nel dirlo è lesa maestà presidenziale? – e una rosa inadatta e squilibrata, ha ritrovato motivazioni, organizzazione e condizione agonistica. Quella voglia di lottare fisicamente indispensabile ovunque, l’hanno mostrata soprattutto i nuovi arrivati dal mercato estivo: da Bellanova a Grassi, Obert (che ha appena firmato il rinnovo fino al 30 giugno 2026) e Altare – giubilati senza pietà con i forconi dai vostri commenti fino a dicembre, assieme a Keita, Caceres, Godin, Deiola, Cragno, Ceppitelli, Lykogiannis, Dalbert – sono state buone scelte del club. La cacciata di Godin, con otto milioni di euro di ingaggio, e Caceres, ha fatto il resto.

Ma chissà se la colpa del disastro è stata tutta loro. Poi, i pieni poteri, senza interferenze, dati al tecnico e le indicazioni del direttore sportivo, Stefano Capozucca, hanno contribuito a completare il risveglio. Un risveglio che ha i volti di Lovato, Goldaniga e Baselli. Pedine, arrivate a costo zero per l’Indice di liquidità che strangola la società, che in un amen si sono integrate. Dunque, l’applauso va anche al club. Che poi Pereiro in un mese scarso abbia fatto vedere quel che nessuno in quasi due anni – cinque allenatori, vari direttori sportivi e preparatori atletici, decine di compagni esperti, migliaia di tifosi-allenatori con rarissime eccezioni – aveva mai immaginato, è un’altra bella storia.

CORAGGIO E CAUTELA. Insomma, dal forno vien fuori un profumino incoraggiante. Ma la storia del pallone e la cronaca inducono alla cautela. Giusto cullare sogni, ambizioni, speranza. Avere coraggio e petto in fuori. Altrettanto logico e normale vedere il bicchiere mezzo pieno. Ma i piedi per terra sono sinonimo di onestà intellettuale, carattere e lavoro. La categoria va mantenuta a tutti i costi: la Serie A, come ha scritto qualcuno di voi, è lo scudetto di tutti i sardi. Personalmente, mi ripeto, vedo un Cagliari che chiude tra la tredicesima e la sedicesima piazza. Se fa meglio, birra – sarda – per tutti. A proposito, prima che partano le sassate, Gianni Brera diceva che solo chi non fa i pronostici non li sbaglia. E ci siamo. Al traguardo mancano ancora dodici partite. Domenica a Torino con i granata, quindi la Lazio in casa, il primo scontro diretto con lo Spezia in Liguria, il Milan in casa, in trasferta a Udine, in casa con Juventus e Sassuolo, altro faccia a faccia con il Genoa, a Marassi, quindi il Verona di Simeone in casa, a Salerno, l’Inter campione d’Italia in casa e, infine, chiusura a Venezia.

È chiaro che nello scorrere della stagione potrebbero cristallizzarsi le posizioni di coda, con il crollo o la resurrezione di chi è messo male. E alcune gare andrebbero a scemare per interesse e combattività. Ma la corsa non è facile né indolore. Con 22 punti, per stare tranquilli, si deve puntare a raggiungere almeno quota 38. Ne mancano 16. Ovvero, bisogna vincere almeno quattro gare e pareggiarne altrettante. Il che significa che se ne possono perdere non più di quattro. L’auspicio? Che se ne vincano sei quanto prima. Ma poi, c’è il campo, gli episodi, gli infortuni, la forza, la qualità e le capacità degli avversari. Ecco perché programmare – con umiltà, competenza e senza intromissioni o visioni legate all’immagine a al fare lucro – è l’unica chiave per poter camminare a testa alta. Anche per chi pensa che il calcio sia un forziere di occasioni e denari facili, visibilità e potere a buon mercato. E se ciò non accade – remember, sei terzultimo e l’anno scorso ti sei salvato a due turni dalla fine! – è sciocco dare la colpa al Covid.

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