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Ma il vero fallimento è il crescente disamore verso questa squadra

Un’emorragia continua di risultati, l’attaccamento alla maglia praticamente inesistente, le decisioni prese senza un criterio: sono solo alcuni dei punti che hanno portato il Cagliari sempre più lontano dal cuore dei tifosi

Il Cagliari sprofonda. Lo sta facendo nel modo peggiore, dando all’esterno l’immagine di una squadra (?) sfilacciata, senza un bastone di comando, a livello tecnico ma soprattutto dirigenziale. L’auspicato cambio di rotta non c’è stato, anzi: a questo punto della stagione ci si ritrova ancora una volta ad aspettare il mercato di gennaio come ancora di salvezza di una gestione totalmente fallimentare. Il Covid? ha colpito tutti, e ha fatto male. Ma la mancanza di oculatezza nelle scelte fatte non è stata certo causata dal virus.

I numeri di questa stagione sono in linea con quella passata. Quella, per l’esattezza, dove la Serie B è stata evitata per un mezzo miracolo sportivo, ma soprattutto per il suicidio di una squadra (il Benevento) che ancora oggi si chiede come sia potuto accadere. Una stagione come quella dello scorso anno avrebbe dovuto far suonare più di un allarme. Avrebbe dovuto porre delle basi solide sulle quali ripartire con rinnovato entusiasmo, ma soprattutto col rinnegare una certa politica fatta di acquisti e prestiti non adatti a una realtà come quella sarda. E invece si è partiti ancora una volta con l’incertezza. La non convinzione delle scelte come stella cometa di una stagione nata, ancora una volta, all’insegna del dubbio. La conferma di Leonardo Semplici, il primo passo falso. Non per il tecnico in sé, ma perché la proprietà non era convinta.

L’arrivo poi di Walter Mazzarri, dopo sole tre giornate di campionato, non ha prodotto i risultati sperati: 14 gare, 1 vittoria, 7 sconfitte, 12 reti fatte, 25 subite. Il tecnico livornese non riesce a trasmettere “il suo calcio” nella testa dei giocatori. E già questo, di per sé, dopo 14 gare, dovrebbe portare a una conclusione ben precisa. Mazzarri non si sente capito dai suoi giocatori: durante le gare sbraita, si lamenta, allarga le braccia, si mette le mani in testa. Lui che dovrebbe essere il vero motivatore di una possibile riscossa, così facendo sembra invece esserne il primo denigratore. La sua gestualità, anche quando si volta verso il pubblico, quasi a chiedere conforto, fa apparire i giocatori come un gruppetto capitato lì per caso. Qualcuno probabilmente non è all’altezza, d’altronde questa squadra non l’ha scelta lui. Ma certi modi sono certamente discutibili. Anche alla luce di ciò che (non) stanno producendo sul campo. E le continue giustificazioni non fanno altro che peggiorare la situazione.

Questa squadra si sente persa, senza una ferma convinzione di poter andare avanti. Facce smarrite, cattiveria agonistica inesistente, errori marchiani sempre dietro l’angolo. In questi casi si auspicano decisioni forti, ma se chi prende le decisioni non è forte a sua volta, tutto resta lì com’è. C’è però una cosa che fa ancora più male nel vedere questa squadra annaspare: il crescente disamore, la voglia di disertare lo stadio, la scelta di “fare altro”. Il vero tifoso, si sa, è duro a mollare. Ma la patina di rassegnazione che si è posata attorno alla squadra è tutt’altro che un bel segnale.

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