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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari, cacciato Capozucca: chi tocca i fili muore

Il ds, per ora, paga per tutti. Rosa sopravalutata, gestione inadeguata, mercato quasi a costo zero, soliti ineguagliabili errori societari. Facile e inevitabile sparare su Liverani. Ma, se dovesse saltare, chiunque trova un mezzo inferno

Esonero Capozucca. Si è dovuto inventare anche l’affare Pereiro. L’aveva sistemato. Poi, dallo Spezia gli hanno detto no, grazie guadagna troppo. Da quello che gli ha chiamati, con ingaggi da superstar, è stato mandato in tv a dire di Godin, leggenda uruguagia, e Caceres che erano indegni. Lascia in eredità, per dire, Makoumbou, un assegno circolare che lievita. Certo, ha toppato ed è rimasto deluso per primo di qualche arrivo. Ma i bilanci si fanno alla fine. Intanto, l’hanno cacciato. Stefano Capozucca, out. Che poi sia stato lui a sbattere la porta, stufo di ingoiare e subire le “vedute” del presidentissimo, è un’altra storia. Ennesimo diesse di una lunga lista. Esperto, forse stanco da un lavoro defaticante. Un esempio, con il Verona tiene ferma la barra sul riscatto di Simeone. Poi, scopre che il patron, senza informarlo, ha già fatto lo sconto al procuratore del Cholito. Se si ha una dignità, il Maalox non basta. Suerte, direttore. Suggerimento? Scrivi un libro, Stefano. E racconta il calcio che hai conosciuto. Cose buone e meno buone.

L’anticamera dell’inferno. Hai un buon possesso palla, quasi il 70 per cento ad Ascoli, ma tiri poco e male in porta. E alla lunga la perdi. La sterilità degli attaccanti è da brivido: 10 gol fatti. Così come le dormite difensive, 11 reti subite. Il gioco ancora latita: per vedere quattro passaggi di fila verso la porta avversaria serve un mezzo miracolo. La palla scotta nei piedi di quasi tutti. Dal marasma si salvano Makoumbou, Luvumbo (è legittimamente acerbo nella finalizzazione, ma se scappa non lo prendono e anche nel grigiore di Ascoli ha causato tre cartellini gialli), Rog, Mancosu e Nandez. Preferenze personali? Sì. Ma a calcio si gioca in undici, possibilmente non acciaccati, di qualità e dal rendimento continuo e affidabile. Inoltre, la giocata va quasi sempre all’indietro. Paurosi, terrorizzati dal poter sbagliare anche un appoggio a cinque metri. La manovra è compassata, il giro palla lento e prevedibile. Da dietro, dopo i primi sofferenti tentativi, si esce con i lanci lunghi. Per non parlare di fisicità, agonismo e concentrazione, dai calci piazzati alle seconde palle.

Un insieme che spiega le quattro sconfitte nelle prime dieci, due di fila in casa. Il bottino? A -7 dalle prime e a +7 dalla zona retrocessione. I 14 punti sono frutto di quattro ko, vergognoso quello con il Venezia, quattro successi e due pareggi. Anche senza scordare la prova positiva di Benevento, per una rosa definita da rientro immediato in A – in avvio parevano davvero le pedine giuste dopo il repulisti: ci siamo sbagliati! – il flop pare certificato. Pur con l’assioma che la B sia diabolica, il campionato si decida tra marzo e aprile, nessuno abbia mostrato di poter scappare e di stare stabilmente in testa, le previsioni rossoblù erano ben diverse. E non certo con scenari da galleggiamento a metà classifica. Dunque, dopo poco più di un quarto di campionato qualche perplessità sorge.

No alle decisioni avventate. Ma la domanda è: per questo sfracello deve pagare Fabio Liverani e il suo staff? In questi casi, il calcio dice che le responsabilità sono del tecnico. Ha la squadra in mano da luglio, ha quantomeno dato parere positivo all’arrivo dei suoi ex (Viola, Lapadula, Falco e Mancosu), ha ritrovato Rog e Nandez, dati per partenti e di categoria superiore. Sul resto, visto il consolidato andazzo societario, è facile intuire che abbia potuto incidere poco. Dunque, va esonerato? A tre giorni dalla Reggina, la risposta vira verso il no. E dovrebbe rimanere tale anche se con la squadra di Pippo Inzaghi, reduce da due sconfitte, dovesse mettersi male. A seguire, si vedrà. Certo, se la squadra non lo segue, andrà sollevato dall’incarico. Ma è meglio fare scongiuri. Dunque, stop ai “dietro le quinte” che circolano nei canali “amici” del club, utili solo a far traballare il tecnico. E a dare un indiretto messaggio di delegittimazione di Liverani all’organico. Questo sì, un autogol pazzesco. Sarebbe una mossa controproducente che, casomai, amplifica il macello. Il tutto, non per difendere l’allenatore. Ma solo per sano realismo. Parliamone.

La squadra manca di leadership e qualità tecniche, cose che non trovano neppure Guardiola e Klopp assieme. Lo spogliatoio pare già provato mentalmente, lo si vede dalla poca reattività e dagli sguardi affannati, anche nei cambi. I giovani sono in ansia e sentono l’incudine sul collo. Le punte non segnano, il portiere ha dei passaggi a vuoto, la coppia centrale annaspa, in regia manca un play affidabile. In generale, manca l’autostima. Fatti due conti, c’è da acquistare. Ma il mercato apre fra tre mesi. Sempre che a gennaio il presidentissimo voglia mettere mano al portafoglio. Dunque, tempi lunghissimi. E chiunque dovesse arrivare deve prima sgomberare il campo dalle macerie. Lavorare con la rosa che trova e stringere i denti. Situazione che, tra giocatori nuovi, disponibilità mentale e fisica, ambiente giustamente avvelenato, non si mette a posto in un attimo.  Dunque, cautela nel chiedere l’esonero. Si potrebbe cadere dalla gratella alle fiamme. Lew obiezioni sono note: dobbiamo aspettare come è stato follemente fatto con Di Francesco e Mazzarri, retrocessione orribile annessa? Possiamo tollerare che la squadra si mostri abulica e magari costruire, ad Ascoli, più pressione e occasioni dopo essere andati sotto di due gol che non nei precedenti 80’? E ancora.

Le poche idee di gioco e neanche un embrione di manovra che funzioni, come possono cambiare se il tecnico dice “Ottima gara, non abbiamo subito, ci hanno condannato gli episodi” anche dopo il 2-1 subito al Del Duca? Tutto vero. Ma adesso, a naso, il rattoppo sarebbe peggiore del buco. Per cui c’è da auspicare un filotto di cinque, sei partite, magari brutte e sporche, ma utili a stare in scia o dentro la zona play off. Serve pazienza, molta pazienza. Anche perché è dura trovare un tecnico valido, oggi o tra un mese, che accetti. Ranieri, a scanso di equivoci non è mai stato contattato in passato e, comunque chiede ingaggio e garanzie molto precise, anche su interventi precisi al mercato invernale: le stesse che hanno espresso Juric l’anno scorso e Inzaghi quest’anno. Ormai l’intera Italia del pallone, e non solo, sa cosa accade al Cagliari. E nessuno sano di mente pensa che siano state le rivelazioni di Sky sulla possibile vendita del club a far retrocedere Joao Pedro e soci.

L’ammazzaleggende. Il presidente è stato sveglio nel dare il titolo di presidente onorario a Gigi Riva. Di più, ha messo nel cda il figlio Nicola. È durata poco, tanto che quando il primogenito di Rombo di tuono ha lasciato, non si sono affrettati a dirlo. Positivo anche il riavvicinamento degli ex dello scudetto. Poi, c’è il rovescio della medaglia. Ovvero, per stare al campo di gioco e agli spogliatoi, dei tanti che, accompagnati da buona reputazione e competenza hanno toccato e sperimentato le strategie del patron fino a fulminarsi. La lista si apre con Zeman, Zola e Festa. Prosegue con Matteoli e Pusceddu. E si è chiusa con Conti e Agostini. Il montepremi? Due retrocessioni e annate da ultimi cinque. In mezzo tanti giocatori di personalità, esperienza. Piccole e grandi bandiere. Da Borriello a Storari, Srna e Bruno Alves, Padoin e Nainggolan.

Alcune avrebbero potuto dare qualcosa anche da bordo campo, in panca o nello staff tecnico, ma sono scappate perché scaricati o dopo aver avuto promesse mai mantenute. Zenga, Legrottaglie, lo stesso Lopez, rientrano nel mazzo. Bravi o scarsi non importa. Il modo in cui sono stati trattati sì. Poi, c’è la questione giovani. Il calcio è scienza inesatta e senza controprova. Ma se tanti lettori-tifosi si chiedono quanto avrebbe fatto comodo il Tramoni ex Brescia, magari al posto di Falco, o lo stesso Desogus, senza nulla togliere a Millico, c’è da pensarci. Specie se si è ripartiti esaltando la creazione di un gruppo giovane e identitario. Ultimo aspetto che balza agli occhi riguarda il rimpianto Cigarini. Poi, fa sorridere, amaramente, che anche Caligara si sia lamentato del format Cagliari. Ad Ascoli presidentissimo e dg hanno fatto dare la notizia di essere in tribuna con Roberto Muzzi. Un’altra leggenda coinvolta in un percorso che si spera cambi direzione. .

Notarelle

Fase di stallo. Il presidente decide tutto e su tutti. Chiarito questo concetto, poi si può criticare chiunque, dal direttore sportivo all’ultimo dei magazzinieri. Cambiare adesso, a meno che non ci sia più spazio per una reazione combinata allenatore-squadra, un patto forte, non porta lontano. Dopo la Reggina, si va da Bisolone al SudTirol, quindi Pisa in casa, Frosinone fuori, Parma in casa, Ternana in trasferta, Perugia in casa, Palermo fuori e Cosenza in casa a chiudere il girone d’andata. Ad essere, con molta fatica, fiduciosi si deve avere la testa giusta per recuperare terreno. Con determinazione, un match alla volta.

Il caso Barella. Si legge spesso “ha speso, ma lo ha fatto male”. Esatto. Ma una precisazione è obbligata: il Cagliari – meglio, il presidentissimo – ha speso solo quando ha incassato dalla vendita di Nicolò Barella all’Inter. A seguire, tasche cucite. Anzi, è andato in rosso – con l’Indice di liquidità precipitato senza poter operare sul mercato – anche per alcune scelte scellerate, dal milione di euro per sei mesi, e neanche 200’ in campo, dato ad Asamoah, ormai già ritiratosi, ai quattro milioni a stagione per Godin, allo stipendio da nababbo di Pereiro.

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