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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari, che brutta aria!

Progetto e proclami ancora una volta disattesi e lacunosi. La Serie A va difesa fino all’ultimo respiro

Se ne hai perso sei nelle ultime sette è difficile sentirsi tranquilli. Infatti, i tifosi onesti, con sé stessi e con le complessità del calcio e della gestione della squadra del cuore, hanno urlato al lupo fin dall’estate. Qualcuno storce il naso nel rimettere i puntini al posto giusto. Pazienza. Ma l’allerta è scattata nel dopo salvezza, a giugno dello scorso anno. E tutti a dire di una grande rosa. Appena prima la conferma presidenziale a “mazza brutta” di Semplici, cacciato dopo tre turni. E la costruzione della rosa nell’ultimo giorno di mercato con scampoli e acciaccati di lungo corso. Ma è dura scordare l’aver beffato Nainggolan per un sesto di quel che è stato dato a Godin, per non dire di altri tutt’ora in rosa che, a conti fatti, hanno dato in termini di qualità e leadership quel che il Ninja avrebbe garantito anche senza mettere piede in campo.

Certo, manca la controprova. Ma la realtà è infernale e basta e avanza per avere la schiena dritta. Insomma, una caterva di errori. Amen. Adesso, il gruppo, si spera almeno mentalmente il più distante possibile dalla proprietà, deve trovare orgoglio, dignità, forza per salvare la stagione. L’attaccamento alla maglia rossoblù non può essere retorico. Né mai potrà esserlo. Il Cagliari è un pezzo importante per tutti i sardi. Ma qualcuno ancora si diverte con le operazioni di maquillage e marketing. Assurdo.

L’inferno da schivare. Premessa obbligata, peraltro scritta e detta più volte: il Cagliari e la serie A devono essere un tutt’uno. Costi quel che costi. Adesso, c’è da stringere i denti e il resto per far sì che anche l’ambiente possa trasmettere un filo di sicurezza. Le ultime quattro gare, Verona sabato in casa, quindi a Salerno, poi l’Inter in casa e infine, il Venezia fuori. Dodici punti in palio, la sensazione che ci si salvi a 33 punti. I rossoblù devono farne almeno cinque, ma sei è meglio. Quindi, battere il Verona è inderogabile. Poi, magari Barella e soci arrivano con la pancia piena, lo scudetto ri-cucito sul petto e potrebbe bastargli un punto. Infine, il mostruoso faccia a faccia di Salerno. Quindi, il Venezia che, visto l’andazzo delle otto sconfitte di fila, pare già in Serie B, seppur con una gara in meno: l’ultima in Laguna per Cragno e soci potrebbe essere alla portata. E ce lo auguriamo tutti. Ma per provarci e riuscirci occorre testa e mentalità.

Su questo fronte, in tanti mi scrivete che Mazzarri prepara la squadra al pareggio e quasi puntualmente le perde. Peggio, costruisce un atteggiamento attendista che non può mai premiare le caratteristiche del collettivo. Insomma, quasi un testa coda: risorse tecniche limitate, classifica infernale, attributi che mancano. Serve una scossa forte, a partire dal Verona. Che possa bastare è un altro discorso. Altra mini premessa: Rog e soci, ne sono convinto, si salvano. Sarà complicata più del previsto, ma si salveranno. Su calciocasteddu trovate queste mie parole più o meno alla fine del girone d’andata: ipotizzavo un piazzamento dal tredicesimo al diciassettesimo posto. Vedo già i leoni da tastiera pronti a sbranarmi. Accomodatevi pure, i fatti prima o poi vengono a galla come i tappi di sughero tenuti a forza sotto l’acqua. E per quanto riguarda i pronostici, Gianni Brera diceva che li sbaglia solo chi li fa. Intanto, la salvezza. Che sarebbe l’ennesimo miracolo perché in qualsiasi sport se fai 10 punti all’andata, provi a rimediare ai disastri annunciati del mercato estivo, e anche chi arriva a gennaio non può o non ha le risorse adeguate per dare in continuità una mano per la risalita, c’è poco da fare. Si soffre. E anche tanto.

Pur con l’apprezzabile filotto delle vittorie – splendide quelle di Torino e Bergamo – il gruppo era ed è rimasto fragile. Lovato è stato il top, Goldaniga e Baselli meno. Poi, se è stata una pessima follia aver cacciato Semplici, è altrettanto ingiusto dare tutte le colpe a Mazzarri. La cifra del gruppo rimane quella progettata a Milano dopo il diciassettesimo posto con 37 punti alla pari con il Torino (in Serie B sono finite Benevento, con 33 lunghezze, Crotone, 23, e Parma, 20). Il campo ha detto che si è trattato dell’ennesimo minimo sforzo, senza prospettive né investimenti capaci di dare una svolta dignitosa.

Vivacchiare spendendo il meno possibile e sognando di trovare denari a palate dalle cessioni di Nandez, Cragno o Joao Pedro. Ma le ambizioni non sono la realtà. Tutt’altro. La progettazione societaria è stata capace di far precipitare ancora una volta il brand rossoblù nella coda della classifica. Con un camion di gol subiti (62) che quasi neanche le ultime. E con un flop da orrore nelle sfide con le dirette concorrenti da incubo. Un minestrone di decisioni che si sono rivelate avventate, probabilmente tese a riempire gli occhi della tifoseria con le figurine vintage, cacciate come fossero appestate e si fossero firmate i sontuosi contratti in solitudine. Oppure, in panca, tra infortunati nuovi e di vecchia data, con ingaggi sbalorditivi, malumori e tutto quel che ne è conseguito. Il tutto ha ovviamente avuto un prezzo salato e feroce: la profonda sofferenza patita dai tifosi, ottavi per numero su scala nazionale, come segnalate spesso. Che per vedere la Juventus sono stati ricompensati con i 50 euro necessari in curva per vedere l’ennesima sconfitta.

Business e marketing. Il massimo campionato italiano, tra i primi cinque in Europa, per il Capoluogo, per l’intera Sardegna, calciofili o meno, per i quasi duecentomila ìemigrati, vale ben oltre le poche competenze e la impressionante e ripetitiva sequela di errori mostrati dal padre padrone. Uno dice, abbiamo questo e non c’è nessuno che fa la fila per prendersi il club. Il tema porta via diverse considerazioni e lo affronteremo in un altro momento. Ma se lo si mette in vendita a prezzi equi e di mercato, le cose non si capisce perché dovrebbero essere tabù dalle nostre parti. A La Spezia, Ferrara, Parma e Genova, tanto per stare ai cambi più recenti, hanno voltato pagina. Dalla coda al vertice della A, con budget e risorse differenti, il calcio smuove ancora molti appetiti. È di questi giorni l’interesse di Investcorp per il Milan. Mentre 777partners, dopo il Genoa – e già litigano con l’ex presidente Preziosi – e il Vasco de Gama ha preso anche lo Standard Liegi. Il dettaglio? Lo stadio di proprietà è basilare. E anche qui, dopo gli sbandieramenti a reti unificate, dalle nostre parti corre un brivido lungo la schiena. Vedremo. Ma, ripeto, questa sono altre storie.

Però le attenzioni dei Fondi – con poca aderenza le ipotesi di un azionariato popolare o di magnati russi, arabi o cinesi – sono reali in un torneo che tira meno ma tira. E chi muove denari pesanti lo sa bene. Così come è una storiella il discorso delle risorse: “il presidente mette i soldi e decide”, “il Cagliari prendilo tu!” e cose del genere sono argomenti che reggono fino a un certo punto. Ma adesso, non c’è spazio per le recriminazioni. Anche chi scrive che i processi si fanno alla fine, sappia che la cronaca, piaccia o meno, si fa volta per volta. Una giornata dopo l’altra. L’unica questione temibile per chi fa il mio mestiere è quella di essere smentito. Ma le bugie non mi appartengono. Numeri, contratti, classifica, rendimento dei singoli e partite perse sono lì. E non c’è nessuna querelle personale: il padrone del Cagliari fa quel che gli pare. Poi, raccoglie i cocci. E nella storia dello sport nessun club ha mai vinto qualcosa, né un centravanti è arrivato al Real Madrid o un tecnico si è salvato o ha centrato un piazzamento in Coppa, grazie a giornalisti amici o che minimizzano e si lasciano manipolare.

Sì, perché come in tutte le categorie, anche nella nostra ci sono quelli bravi e quelli meno. “C’è qualcuno tra noi che si mette in ginocchio senza che il padrone di turno gliel’abbia ancora chiesto” rimarcava spesso Enzo Biagi. Mi hanno segnalato che in tv c’è chi ha scritto e detto al presidente del Cagliari, quale fosse la domanda giusta per fargli tornare il sorriso. Ecco, ci sono anche questi dettagli. Ma non è un dettaglio, per rispondere alle vostre segnalazioni, che il titolo sulla sconfitta di Marassi volesse significare che la sconfitta fosse immeritata. Ma, viceversa, che il Genoa non ha meritato di vincere. Però, avete ragione: la squadra ha affiancato le paure del Genoa e non ha avuto la forza, il coraggio, la qualità e lo spirito per sfidarlo e batterlo. Come è capitato spesso con formazioni sulla carta anche inferiori, come le ultime tre della Serie A. Il Cagliari dovrebbe stare dalle parti dell’Empoli o dello Spezia, tranquillo da un pezzo. Ma il campo ha detto il contrario. E cercare alibi – nell’assordante silenzio presidenziale rotto di recente solo per l’accordo su chi costruirà il nuovo stadio! – serve a nulla. Adesso, via ai commenti con nickname sui social che però portano poco lontano. Gli insulti non migliorano chi li usa. Quel che conta è supportare appieno la squadra in vista del Verona.

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