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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari, giù la maschera: servono almeno 16 punti nelle prossime dodici partite

I numeri non mentono quasi mai. Fino all’obbligato rinforzo della rosa a gennaio, occorre umiltà e saggezza. Altrimenti i rischi aumentano

5 vittorie e un pareggio. Ovvero, 16 punti. Che aggiunti ai 3 conquistati, alla fine dell’anno, isserebbero il Cagliari a quota 19. Di solito, ammesso che al ritorno si facciano almeno gli stessi punti, a quota  38 si mantiene la categoria. Mi pare di sentire, pur sempre in netta minoranza, alcuni di voi: portate sfiga, calcoli da cugurra; abbiamo giocato appena 7 partite ed ecco le previsioni nefaste; è fuori luogo parlare di salvezza; ci sarà anche il mercato di gennaio; battiamo la Sampdoria e si riparte alla grande. Tutto vero. Ma anche no. La cronaca è la fotografia di un fatto in un dato momento. Arida, secca, con pochi panegirici. La speranza di tutti, con Calcio Casteddu in testa, dei tifosi tutto d’un pezzo, sportivi, sardi sparsi nel mondo, è solo una: stare in Serie A. Poi, ci sono i numeri.  I rossoblù sono ultimi, hanno fatto la stessa peggior partenza ventidue anni fa e sono retrocessi, da almeno cinque campionati soffrono sino alla fine e l’anno scorso si sono salvati miracolosamente.

La squadra, checché ne dica l’Uomo solo, ha un organico che per gli osservatori terzi, e seri, è meno competitivo. Anche perché se fai una campagna acquisti in cui spendi centomila euro e ne incassi sette milioni e mezzo, qualcosa non quadra. Poi, ci sarà chi dice che, senza sottilizzare su modulo e ruoli, Altare è più forte di Rugani, Deiola di Duncan o Strootman di Nainggolan. Ma la difesa è la stessa che ha chiuso tra le peggiori sei con Cragno tra i primi tre portieri d’Europa per parate. E anche l’attacco non ha brillato per fertilità. Poi, se dopo tre turni cacci l’allenatore e ti rendi conto che la squadra è fragile e ha giocatori che definisci top player ma sono acciaccati, con fastidi cronici, pagati con ingaggi da star, non pronti per uno dei cinque principali campionati d’Europa, ci si deve per forza rifare al campo e ai risultati. Orribili. E sotto gli occhi di tutti. Essere onesti paga sempre. E aiuta a capire il che fare per risalire.

IL CAMMINO PER LASCIARE LA CODA CHE SCOTTA. Serve pulizia intellettuale e  realismo. Levarsi il prosciutto dagli occhi per lasciarlo in mezzo al pane. meglio se di Burcei – o con il melone è una buona base di partenza. La strategia del mercato creativo, delle sparate telecomandate su alcuni media, del dico-e-non-dico, del pensare che tanto il popolo (tifosi)-bue è distratto e alla lunga dimentica, non paga. Per non parlare del disco rosso su Capozucca: pare che il ds non possa toccare palla, neanche sugli svincolati. Insomma, un quadro che ha portato all’implosione. La gestione è fallimentare nei risultati e per le scelte. E va ribadito che nessuno al Cagliari compra una scatola di mentine senza chiedere il permesso del capo supremo. Giusto? Più che altro legittimo. Che poi funzioni, è un’altra storia. Anche perché pensare di essere onnipotenti e onniscienti e senza avere al fianco collaboratori efficienti che sappiano dire anche no, nell’imprenditoria, non solo pallonara, alla lunga si finisce per andare gambe all’aria.

E siamo al calendario. La Sampdoria in casa (con circa dodicimila spettatori: chi vuole potrà stare al fianco della squadra) quindi a Firenze, poi la Roma in casa nell’infrasettimanale, trasferta a Bologna, Atalanta in casa, fuori con il Sassuolo, in casa con la Salernitana il 28 novembre. A seguire, di martedì, a Verona, quindi il Torino, a San Siro con l’Inter, in casa con l’Udinese, allo Stadium con la Juventus. Per il 2021 basta così. Poi, il 6 gennaio, con i confronti avulsi, si riparte con la Sampdoria. Stiamo alle gare di quest’anno. Il calcio è strano e bello proprio perché garantisce sorprese. Ci si può sbizzarrire nell’intuire dove e con chi Joao Pedro e soci possano fare punti. Provateci. E poi traete e le conclusioni. Nella speranza – sincera – che tutto fili al meglio e che al mercato di riparazione ci sia un qualche rimedio concreto e spendibile subito.

CONSIDERAZIONI CONCRETE. Un lettore ci scrive: e pensare che un anno fa abbiamo regalato per un milione di euro Ionita al Benevento. E quest’estate è stato detto di no per Deiola al Paok Salonicco per quattro milioni. Dal divano e con il senno di poi tutto è più facile. Ma di certo, alcune operazioni condotte da sempre in prima persona dal presidente, lasciano di stucco. L’ingaggio stratosferico di Godin, tra festoni, musiche del Gladiatore, hostess e poltrone in velluto rosso, è la perla di una conduzione assurda. Il capitano dell’Uruguay ha esperienza e carisma, ha vinto ed è stato tra i più forti centrali d’Europa. Ma ha anche – comunicato della nazionale uruguaiana – una tendinopatia cronica e a 35 anni in serie A il fastidio può diventare faticoso da gestire. Ecco, se quell’ingaggio fosse stato chiuso a un milione e mezzo, come per i più pagati della rosa, forse non ci sarebbe stato nulla da ridire.

Una chioccia adatta per svezzare Carboni e Walukiewicz. Invece, lo stipendio faraonico complica tutto. Ed è normale – anche se la difesa fa acqua – che il difensore non molli di un’unghia. Vuole giocare i mondiali del novembre 2022 in Qatar, se non si riduce l’ingaggio sbattetelo in tribuna, dicono i furbi. Ma la cosa non è semplice né automatica. Intanto, nulla vieterebbe a Tabarez di chiamarlo comunque: in Uruguay è un’icona. Poi, il club dovrebbe gestirne l’allenamento in solitudine. E se in campo Ceppitelli, Walukiewicz e Carboni, più Caceres o Lykogiannis da riciclare al centro, non dovessero funzionare e Cragno venisse preso a pallate, figuriamoci i commenti: tengono Godin fuori e vengono presi a sberle. Insomma, la questione – con suggestioni varie: se lo paghi un terzo, con quei soldi prendi due svincolati pronti per la A, o avresti potuto tenere Nainggolan – è caldissima. Con il principale responsabile che si mangia ancora le mani. E non potrebbe essere altrimenti.

DAL DIETRO LE QUINTE. Altro compito importante per Mazzarri è il rimettere in buone condizioni agonistiche la squadra. La squadra corre male, poco nella metà campo avversaria, gestisce meno palloni di tutte nell’ultimo quarto delle partite. Il Venezia, per dire: appena prima del fischio finale gli ospiti sprecano di testa il gol vittoria e se il match fosse durato altri dieci minuti, tutti hanno percepito una sensazione orribile. Il tema della tenuta è complesso. Scomoda testa, concentrazione e lavoro atletico. Dopo lo scossone con la Lazio – ma una squadra che sta bene sulle gambe, la partita dell’Olimpico la vince – la miscela è da rinnovare. Per il tecnico, piaccia o meno c’è lui, la scommessa si complica proprio dal non aver potuto lavorare con chi ne ha più bisogno. Per dire, i quattro uruguaiani rientrano a una manciata di ore dal fischio d’avvio con la Sampdoria di Quagliarella e Caputo.

Uno dice: ma anche le altre hanno i giocatori in giro per il mondo. Certo, però non sono ultime in classifica e non hanno una rosa striminzita, a corto di benzina, organizzazione e leadership. Tra questi, ci si aspetta un passo avanti da Strootman: l’olandese deve ritrovare tempi e corsa, altrimenti è dura. I tifosi – con gli ultras che nelle ultime due gare interne hanno ripreso a contestare: un segnale che suscita varie considerazioni e non passa certo inosservato per giocatori e club – cagliaritani hanno una pazienza formidabile. Ma il rischio di sprofondare mette i brividi. Sarebbe il caso di scoprire tutte le carte: a gennaio, specie se parte Nández, un difensore centrale, un regista e una punta, che conoscano la A, sono imprescindibili. Peraltro, una buona occasione per sfruttare le risorse arrivate in cassa dall’accordo con Unipol.

BOATOS. Queste righe si possono tranquillamente saltare. Ma si tratta di una semplice osservazione: da qualche tempo sul web circolano news sul possibile interessamento di una cordata cecena, la stessa che detiene il Forte Village, all’acquisto del Cagliari. Deve certamente trattarsi di una bufala. Magari, messa in giro ad arte. Aspettiamo. Ma visto che in un mesetto sono state acquistate da fondi e imprenditori – non da sultani o califfi giunti in città su un Ippogrifo e con un mantello d’oro tempestato di perle – club di A e B, diversi per valore, storia, appeal e tradizioni, come Spezia, Parma, Spal e Genoa, tutto può essere.

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