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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari: la società batta un colpo

Il silenzio assordante nel dopo Napoli è irreale, con il solo Di Francesco a metterci la faccia. Ci sono responsabilità precise. Intesa, umiltà e mosse da non sbagliare

I lustrini rossoblù. I fiori, le poltrone e le hostess alla Sardegna Arena. Ma anche le hit rock per sottofondo. Le conferenze, lo sfarzo di Palazzo Doglio, le interviste quasi mai scomode, un fiume di parole per battezzare Eusebio Di Francesco, Diego Godin e gli altri. Giusto. Anche proclami, promesse con tanto di richiami al cuore, all’identità, al non voler più soffrire. Fino al progetto con la P maiuscola. Per un Cagliari spettacolo, divertente, rinnovato, giovane, ambizioso, con lo sguardo alle prime dieci della classe e uno stadio proprio. Il tutto condito da ripetute, sollecitate e accondiscendenti presenze mediatiche dei vertici del club. Un film riguardante anche le meritorie occasioni di beneficienza e solidarietà. Poi, c’è il campo, la classifica, i numeri. Più un mercato e un organico deficitario costruito in estate, con esuberi e situazioni critiche per qualità, ruolo, disponibilità, pedine sopravalutate.

Forse, per qualcuno rimane scomodo da dire e ricordare, ma è banale puntare il dito su allenatori, direttori sportivi, consulenti vari, giocatori non all’altezza della serie A. È come indicare la luna e fermarsi al dito. Purtroppo, la strategia dell’Uomo solo al comando non paga. Né a Cagliari, né altrove. E spiace che amici e ammiratori del presidente del club rossoblù non avvertano, proprio in quanto tali, l’esigenza di suggerire e provare a dare uno scossone concreto alla filosofia proprietaria. Ovviamente, basta battere il Benevento (ma non sarà una passeggiata, chiedere al Milan primo in classifica) dopodomani alla Sardegna Arena per dare un colpo di spugna a preoccupazioni e dubbi.

DIGNITA’ E DETERMINAZIONE. Adesso, sarebbe tempo di mostrare la faccia. Invece, dalla sede di via Mameli alla tifoseria arriva poco o nulla. Irritati e stremati dall’avvio che vale il quindicesimo posto, due goleade (5-2 con Atalanta e 4-1 con il Napoli), tra le peggiori difese della A, Cragno gigantesco per parate e un gioco che dopo le prime gare si è perso per strada, i tifosi mugugnano. Pesantemente. Pensavano di non dover soffrire. Invece, la salita è forse tra le più toste della gestione giuliniana. Il Cagliari non vince da otto partite (e le ultime due, con Crotone e Sampdoria l’ha fatto con un uomo in più per circa un tempo) e la società è sparita. Nessuno che ci metta la faccia. E sarebbe assurdo che questo compito spetti al ds Pierluigi Carta, colpevolmente lanciato senza salvagente in un acquario di squali. Poi, rimane sconcertante che in tanti se la prendono con Eusebio Di Francesco. Il tecnico ha responsabilità, anche forti. Ad esempio, quella di aver avvallato una rosa con troppi doppioni, esterni bassi o inesperti o non adatti alla categoria, non aver puntato i piedi per avere da subito Nainggolan, aver detto sì alla presenza di giocatori-leader e con ambizioni che mal si conciliano con la panchina: Pavoletti, ad esempio. Si può tralasciare l’aspetto tattico: DiFra ha abbandonato il mantra del 4-3-3 e ha adattato i propri convincimenti al materiale in rosa.

Ma con Tripaldelli, Tramoni e Caligara, per ora, è difficile fare la differenza. Poi, infortuni, Covid, cali di condizione hanno fatto il resto. Il tecnico sa di calcio, è onesto, anche intellettualmente. E va supportato adesso che la barca fa acqua. Ma è sbagliato cercare alibi: con la pandemia e le assenze giocano anche le altre diciannove. Sarebbe più utile e trasparente cercare una quadra tra panchina e società. Magari facendo ammenda sulle proprie decisioni. Il Cagliari traballa anche perché chi ha dissentito dal pensiero del capo (per stare agli ultimi anni, i ds Giovanni Rossi a Marcello Carli) fa le valigie. Nessuno ha la ricetta magica ma andare avanti senza un bagaglio accreditato di competenza e relazioni porta a scelte velleitarie e, alla lunga, fallimentari.

INGAGGI. Da qui, un rapido esame: con le disponibilità economiche, senza scordare il pesante budget stipendi (ma anche lì, se Cerri guadagna un milione di euro ed è stato pagato dieci, così come Marin, o se Ionita è stato venduto per un milione, la colpa non può essere delle forti piogge in Baronia e Logudoro) va gestito con acume e senza presunzione il mercato di riparazione, che non si chiama così per caso. Serve intesa, dignità e chiarezza tra le varie componenti. Poi, un filo di umiltà non guasterebbe. Altrimenti, per i tifosi (ovvero, quelli che mettono il gettone nel juke box pallonaro, prima con biglietti, merchandising e abbonamenti, adesso con pay-tv e richiami pubblicitari che l’audience, pur in calo, richiama) sarà arduo mettere fine all’amarezza. Anche se mercoledì il Benevento viene sconfitto, speriamo, 3-0.

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