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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari, parziale bilancio di mezza estate

Una B insidiosa, lunga e stressante. Liverani è sul pezzo, la forza del gruppo sarà decisiva. Ma, con il mercato aperto, ci sono ancora troppe incognite

Il 3-0 di sabato all’Olbia dice e non dice. Ma va in almanacco e il commento è d’obbligo. Con la rosa che mette assieme infortunati di medio e lungo corso, forse out per strategie e convenienze legate al mercato, uscite e arrivi che si annodano vicendevolmente, tutto si complica. Però, qualche spunto va registrato. Fabio Liverani è contento a metà di quanto i suoi stanno mostrando. Gambe pesanti, nozioni da immagazzinare, sintonia tra singoli e tra reparti. Insomma, c’è da fare. E l’ex tecnico di Lecce e Parma lo sa. E sa anche che in questo momento per l’80 per cento delle formazioni della B – in A è lo stesso visto che anche le big con i giganti del gol e della mediana riescono a perdere con avversari di modesto cabotaggio, penso a Inter e Milan – la musica è questa. Si lavora ad aumentare i carichi di lavoro, per poter gestire autonomia fisica e mentale.

Si limano vecchi vizi, di posizione e di mentalità. Si cercano soluzioni in un torneo che ha per dna la velocità dei protagonisti, il pallone che spesso somiglia a un piattello, la garra come ingrediente basilare, la tattica e l’organizzazione tesa a prevalere nelle zone nevralgiche del campo. E la qualità? Sempre fondamentale, altrimenti sarebbe C o Lega Pro. Ma viene su un piano seguente. Le esperienze Balotelli-Boateng al Monza insegnano. Insomma, c’è da pazientare. Lo sa Liverani e lo sanno i tifosi. Il concetto chiave? Intensità.

Offensivi con intelligenza. Il tecnico sta impiantando il suo credo calcistico. Il 4-3-3 pare il canovaccio. E ci si potrebbe divertire, dipende dagli interpreti e dal tecnico, si spera autonomo nelle scelte e senza intromissioni. Il modulo piace. E regge con alcune buone, sagge ed elastiche risposte in gare particolari e contro formazioni che creano densità in mezzo al campo o sono dotate di esterni molto rapidi e forti nell’uno contro uno. Alla vigilia delle amichevoli oltre confine, Strasburgo (mercoledì) e Leeds (domenica) sono team rognosi e abbastanza in palla, il primo parziale bilancio dice di un Cagliari in cui si parte tutti alla pari. I puristi segnaleranno certamente situazioni sgangherate. Può essere.

Ma, per dire, che Desogus possa diventare un elemento interessante del tridente, lo si può dare per certo. E se a bocce ferme si parlava del centravanti-boa, Pavoletti, con Tramoni, ex Brescia, e Pereiro a latere, a poco più di dieci giorni dal debutto ufficiale con il Perugia in Coppa Italia, le gerarchie paiono mutare. Si vedrà. E anche, dita incrociate, Lapadula è  pronto allo sbarco a Elmas. La punta da doppia cifra, meglio se dovesse arrivare anche un altro finalizzatore esperto, è un obbligo. Ma oltre a Desogus, sul versante green, merita un cenno Luvumbo. Il primo è una faina e segna. Il secondo sprinta e ci prova sempre. E quando può serve assist. L’angolano pare essersi ritagliato un suo spazio. È veloce, ha personalità, anche se la tecnica deve usarla per giocare di più con il resto della squadra.

Ordine in regia. Che Makoumbou abbia buona tecnica e tempi – da sveltire – idonei alla categoria è un buon segnale. Idee di gioco e costruzione passano per i suoi piedi e per quelli di Viola: sull’ex Bologna e Benevento, giudizio sospeso. Ma, ripeto, la forma adatta non può esserci dopo tre settimane scarse di preparazione. Meno che mai nel fornetto a microonde di Asseminello. Un aspetto va rimarcato: il pensatoio rossoblù necessita di fosforo, gambe, resistenza. E leadership. Ed è meglio non tornare sul passato. Il tecnico, un tempo nella Primavera rossoblù, insiste sulla rapidità nel muovere la palla. Chiede alla squadra di creare densità e condizioni per più di un passaggio. Insiste sul dover aggredire gli spazi senza il pallone e sul lavoro degli esterni abili nelle due fasi. Per mettere in buone condizioni la regia, questo mix è primario. Viola ha testa e qualità, meno dinamismo. Il congolese deve adattarsi a una realtà che non fa sconti.

Prima ci riesce, con la testa soprattutto, prima si capirà dove va a parare. Anche perché il nodo del play è e rimarrà centrale per l’intera stagione. Caso mai, guadagnata la casella dal duo neo arrivato, se si vuole pensare a un torneo di vertice e non di semplice sopravvivenza, ci sarà da pensare ai sostituti. Lella e Kourfalidis, per dire. Ma questa è una storia prematura. Senza scordare le incertezze inerenti la permanenza o i saluti di Rog e Nandez. Con il croato e l’uruguagio è un conto, senza un altro. Intanto, il rodaggio prosegue. E per stare in mezzo, va messo nel computo l’apporto di Deiola, Faragò e il giovane Cavuoti. Profili differenti per ruolo, caratteristiche ed esperienza.

Scenario arretrato e nota dolente. Detto che altre eventuali nobili cessioni, condizionerebbero anche gli altri reparti, pare prendere consistenza la trincea di retroguardia con Goldaniga out a favore del duo AltareWalukiewicz. Liverani tiene tutti sulla corda. Se a sinistra la sfida è tra Obert e Carboni (meglio in fase di spinta, da migliorare in copertura), a destra l’ex Juve Di Pardo pare a casa sua. In pole Zappa, Boccia e Palomba. Tra i pali   potrebbe indossare i guantoni della svolta. Per vincere qualcosa serve un buon portiere e una punta che la butti dentro, vale in Champions e tra gli amatori.

L’ultima volta che il Cagliari è risalito in A, vincendo il campionato con Rastelli, tra i pali c’era Storari: sbarcato in B nonostante i due armadi colmi di trofei, alcuni in prima fila altri alle spalle di Buffon, e un ingaggio top. Infine, la questione che lascia qualche dubbio. Gaston Pereiro è seguito passo passo da Liverani. La tecnica e il sinistro felpato non si discutono, il resto sì. Amnesie, scarsa determinazione, a tratti abulico. Ma anche la mancata intesa con i compagni e quel muoversi in maniera avulsa da quel che accade in campo non sono elementi a favore. Individualmente e per un gruppo che deve scegliere se lottare per fiutare i play off o stare nell’anonimato. L’uruguaiano sa di giocarsi una fetta importante di carriera. Metta peperoncino e curcuma nelle sue prestazioni. E lo faccia quanto prima.

Notarella
Caso Simeone
. Spesso ci tornate. Per me sarà l’ultima volta, a meno che l’argentino – che mi è simpatico e ho conosciuto benino anche fuori campo – non vinca, e glielo auguro, il Pallone d’oro. Il presidentissimo deve fare cassa. Non è una notizia. A quei tempi non ha grandi nomi in campionario che piacciono al mercato. Va da Semplici: “Mister diamo il Cholito, cosa ne pensa?” “Lo terrei” dice il tecnico. Passa una settimana. Il padre padrone convoca allenatore e attaccante: Giovanni vai a Verona, ti troverai bene”. Game over. Quindi le responsabilità di Semplici nel cedere l’attaccante, a favore di Pavoletti, sono pari a zero.

Altro aspetto. I compagni di spogliatoio descrivono il figlio del Cholo – da mediano di Inter, Lazio e Argentina e da gran capo in panca dell’Atletico Madrid, capace di mangiare il fegato degli avversari e, se serve, sputare sangue in campo – con un dna caratteriale opposto a quello del padre. Simeone junior cresce e segna se sente stima, fiducia, approvazione. La prima intervista di Tudor, coach dell’Hellas: “Giovanni? È il nostro Van Basten”. Saluti e buon mirto.

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