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IL DRIBBLING DI… Mario Frongia. Cagliari in B, il tragico capolavoro del patron della Fluorsid

Perdere la serie A, tesoro per i sardi, nasce da una gestione deficitaria e lacunosa, ricca di proclami e imbarazzante per scelte e strategie. E adesso chissà quale sarà il destino dei big e del tecnico toscano

Un ceffone ai circa settecento tifosi giunti in Laguna con la sciarpa rossoblù al collo. Da estendere ai milioni di supporter sparsi nel mondo. Appassionati, fedeli e coraggiosi oltre ogni limite. Pronti a prendere ferie, perdere una giornata di lavoro, lasciare amici e famiglie pur di essere al Penzo. Capaci di spendere centinaia di euro per esserci, crederci e provarci sino alla fine. Non è bastato. Il Cagliari retrocede con 30 punti, frutto di un gruppo e un gioco inesistente. Normale se in una stagione esoneri l’allenatore che ti ha salvato neanche pochi mesi prima, dopo tre giornate. Ne chiami un altro che era al palo da anni. E lo cacci non dopo le prime due di sette gare perse su otto, ma alla terzultima di campionato. Normale, dunque, che finisca così. Nel peggiore dei modi.

Ed è inutile o quasi sparare a zero sui giocatori: vero, hanno responsabilità enormi, specie i top player. Ci sarà un’obbligata rivoluzione come spesso capita in questi casi. Ma il tutto sta a monte: si raccoglie quel che si è visto, come politica societaria e gestionale, negli ultimi anni di salvezze stentate. Con interferenze e decisioni che vengono prese dal vertice, capaci di indebolire e sminuire ruoli e mansioni dei collaboratori, troppo spesso fedeli signorsì. Come per le scelte inerenti chi cedere o tenere, magari indicandogli l’Olbia e un tozzo di pane, che non solo sono state fallimentari ma hanno reso fragile e impaurito lo spogliatoio. Tommaso Giulini ha avuto la bici. Appena gli hanno levato le rotelle posteriori, è andato a sbattere. Può onestamente prendere atto di aver toppato. Sarebbe un atto meritorio.

Una storia nota. Se non si è stati negli ultimi otto anni sulla luna, il percorso che si è chiuso amaramente ieri notte, è la sintesi di quanto il patron ha mostrato nelle ultime stagioni. Si sperava nell’ennesima salvezza ai titoli di coda. Sarebbe stato un po’ come l’allineamento dei pianeti: se arrivi al dunque con venti sconfitte, 68 gol subiti e 34 segnati, viene complicato pensare che la colpa sia di uno degli undici allenatori, dei tanti preparatori atletici chiamati, osannati e cacciati, dei direttori sportivi tenuti spesso a margine. O magari, degli arbitri, degli squadroni del nord, di Adani o Criscitiello, di Godin e Caceres, di Iervolino o di Moby Dick. Magari, di Rastelli o Maran. Il primo, tecnico dei record. L’altro, capace di farti fiutare l’aria delle coppe. Intanto, il calcio segna un gol a proprio favore: nonostante una settimana ambientale incandescente, l’Udinese a Salerno non si è scansata. Mentre il Venezia ci ha provato. La partita? A tratti, imbarazzante, poco più che da play out in B ad essere teneri. Ma va così. E ci si dovrà abituare.

Quando gli altri si fanno fuori da solo e tu dormi. Al Penzo il Cagliari ha portato in dote la passione dei sardi e i 4 punti fatti nelle ultime dieci partite. Da incubo. I veneti hanno pareggiato all’Olimpico con la Roma e battuto il Bologna. Entrambe prendono meritatamente il bus per la B. Ma la musica era nota: sarebbe stato complicato trovare qualità e manovra. Per la cronaca, Nandez dal via è la mezza sorpresa. Mentre, per dire della bontà della campagna di riparazione di gennaio orchestrata dal patron, anche Agostini ha lasciato in panca Lovato, Goldaniga e Baselli. Ci sono anche Strootman e Keita Baldè, i gioielli presidenziali del mercato estivo. Dalbert? Infortunato.

Logiche che sanno di societario, o forse no, anche per Deiola, Lykogiannis e Carboni. In questo contesto, nella partita decisiva che vale la permanenza in A, Marin e Rog devono essere proprio a pezzi! Dopo 4’ Johnsen si è divorato l’1-0. Da Salerno arriva la notiziona: Udinese avanti con Delofeu. Si è accesa la scintilla. Ma dura poco. Il Cagliari, che dovrebbe prendere coraggio ed è obbligato a vincere per compiere il miracolo, è quello solito: molle, impreciso, lanci lunghi e pedalare. Il Venezia è più determinato, un palleggio rapido e sa cosa fare quando ha il pallino. La squadra di Soncin ci ha riprova con Peretz, alto. È fioccato qualche cross rossoblù, Joao si muove, Pavoletti ci prova. Poca roba.

Mosci e senza fame. Sono mancate idee e manovra, inserimenti e incursioni senza palla che, lancio lungo dopo l’altro, somiglia sempre più a un piattello. D’altronde se si sfidano ultima, e già retrocessa, e terzultima, è difficile cogliere di più. Insomma, nulla di nuovo in uno dei campionati più modesti di sempre come conferma la quota salvezza a 32 della squadra di Nicola. Intanto, Lykogiannis, acciaccato, ha lasciato per Rog. E dall’Arechi arriva notizia del raddoppio dell’Udinese. Nuova scossa per JP10 e soci. Ma le cose sono stabili. La Salernitana prende il terzo gol. Lo squillo è arrivato da Rog. Il Cagliari si è ridestato. Ma è sempre poco incisivo, senza quella cattiveria che fa la differenza e l’approccio privo di carattere. Il campo non fa notare i 3 punti di differenza tra i due club. Il primo tempo si è chiuso con Bellanova, in ritardo su cross di Pavoletti.

La speranza non muore. Al riposo sullo 0-0. Così come nella ripresa. Dopo vari attacchi, confusi e mai abbastanza pericolosi, con appena due parate importanti di Maenpaa. Sarebbe bastato vincere, ma gli scontri diretti il Cagliari li ha sistematicamente toppati. Si va giù con merito, difficile trovare tre squadre che hanno giocato molto peggio. Ma esperienza, tradizione e buon senso avrebbero potuto cogliere meglio la svolta del periodo “buono” con Mazzarri. Le vittorie su Samp, Torino e Atalanta in trasferta, il pari in casa con il Napoli, ad esempio. Un filotto che sarebbe potuto valere un piazzamento, pur con una rosa modesta, con infortunati e doppioni a fine carriera, dal diciassettesimo al tredicesimo posto. Ma la proprietà deve farsi seriamente una domanda: ha le risorse finanziarie, la tempra e i valori adatti a governare un club ricco di storia, tradizioni e valori di pregio? Di certo, chi rimane in A sono i tifosi.

Notarelle

L’idea di poter comandare, o comprare, tutto e tutti. Intanto, un mea culpa: ero certo che il Cagliari si sarebbe salvato. Ma Spezia e Salernitana hanno mostrato i denti. Ho sbagliato il pronostico, fatto a gennaio, con 10 punti dopo il girone d’andata. Sono stato temerario, ma Brera diceva che solo chi fa i pronostici li sbaglia. Poi, un acchito alla categoria: annacquare l’evidenza, blandire e non mantenere le distanze non aiuta alla credibilità del giornalismo. E non serve per evitare la retrocessione, vendere a prezzi più alti un bidone, confermare o cacciare un allenatore. L’esamino di coscienza riguarda tanti. E la serietà aiuta a crescere. Su questo fronte, fa specie la classe del presidente del Cagliari che dà dell’infame in diretta tv al conduttore di Sky. Fabio Caressa risponde come si deve. Poi, ciascuno si faccia l’idea che vuole. I fatti e i numeri che vengono dal campo, sono quelli. È difficile truccarli.

Sempre a proposito di giornalismo. Il Cagliari, in questa stagione orrenda, si è tolto lo sfizio di licenziare senza giusta causa l’unico collega con l’esperienza, da decenni nel club, e i titoli adatti a guidare rivista e ufficio stampa. E, se è per questo, ha per responsabile dei rapporti con i media una valida professionista del marketing che non è però iscritta all’Ordine. Le norme dicono che non va bene. Comunque sia, Roberto Montesi porterà il club di fronte al giudice. Suerte.

 

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