Centoottantadue le panchine con il club partenopeo con tanti momenti particolari ma anche soddisfazioni vissuti
Nell’ottobre 2009 il Napoli non è ancora consapevole d’aver avviato la sua nuova evoluzione, aprendo un ciclo. Mazzarri arriva dopo un semestre cupo che Donadoni attraversa da traghettatore: Reja, che ha provveduto a far risorgere dalle ceneri un club dal fallimento e l’ha portato in Serie A e persino in Europa. L’uomo toscano di San Vincenzo, scrive oggi il Corriere dello Sport in edicola, con le sue mani rugose e stravolto immediatamente, sistemando tredici risultati utili consecutivi e cominciando a scalare una classifica che da pericolosa diventa invitante: sesto posto, Europa League, ma chi l’avrebbe sospettato al suo arrivo?
POI LA CHAMPIONS. Nei suoi milletrecentoventuno giorni (centoottantadue panchine) vissuti standosene spesso rinchiuso in se stesso, prigioniero d’una torre d’avorio nella quale si calava, Mazzarri lancia il Napoli in una dimensione inedita, dove gli regala le stordenti nottate europee, l’eleva alla felicità assoluta vincendo la Coppa Italia del 2012 e quindi riaprendo una bacheca ormai arrugginita, lo porta ad un ottavo in Champions League che sa di rimpianto (fuori ai supplementari a Stamford Bridge, con il Chelsea che vincerà il trofeo), lambisce persino il sogno dello scudetto andandoci vicino assai e vedendolo sfumare, nell’ira bruciante, a cinque giornate dalla fine, nel 2011, con la sconfitta interna con l’Udinese che consente al Milan di Allegri, a quel punto avanti di sei punti, di vincere di muso lungo. Chissà se al Cagliari, dopo aver preso la squadra in un grande momento di difficoltà ripeta lo stesso.