Seconda parte dell’intervista di Leandro Castán a L’Unione Sarda. Il difensore brasiliano si racconta. La malattia (di cui si nella prima parte), gli incubi e le difficoltà nel tornare a giocare. Ora Castán è a Cagliari, dove cerca una seconda possibilità.
Dopo la malattia, dunque, il riscatto. Ma con una nuova maturità: “Sono nato a Jau, cittadina di 200mila anime. Non è stato facile emergere, ma ce l’ho fatta: ho giocato col Corinthians, con la Nazionale brasiliana. E ho vinto la battaglia più difficile, quella contro la malattia. Ora voglio vincerne un’altra: voglio tornare il Castán di prima, anche se mi dicono che sono finito. E fa ancora più male che non me lo dicano in faccia. Ma questa è la vita. Quando le cose vanno bene c’è tanta gente che ti dà pacche sulle spalle, quando va male non trovi nessuno“.
Un evento che ha lasciato il segno: “Ora sono un uomo più forte. Perché in fondo la vita è più importante del calcio. Se avessi smesso sarei stato un codardo. Ora invece lotto, gioco a pallone e do l’esempio di non mollare mai. E sono sempre a disposizione di chi ha bisogno, come hanno fatto Zanchi e Melchiorri con me“.
Il ritorno in campo: “A Torino, nei primi sei mesi, ho fatto bene. Poi ho avuto problemi muscolari. Ho bisogno di giocare con continuità. Non sarà facile tornare ai miei livelli. Cagliari è bellissima, anche più di Jau, la mia città natale, che comunque porto nel cuore. Ora voglio fare bene, lasciare il mio segno e fare felici i tifosi. Di quella barca ora il totale comando. I sei mesi a Roma mi hanno fatto ritrovare la forza nelle gambe. Ora ho questa opportunità e posso fare bene. La mia battaglia continua, la guerra non è ancora finita”.