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Castán si confessa: “In un giorno ho perso tutto. Melchiorri mi ha aiutato”

Un giorno ero il difensore della Roma e del Brasile, il giorno dopo ero su una barca alla deriva“. Leandro Castán, 31 anni, si confessa in una bella intervista a L’Unione Sarda, che vi proponiamo in due parti. Il difensore brasiliano, fortemente voluto da López, la scorsa settimana è stato presentato alla Sardegna Arena. Sguardo deciso, voce fiera. Di chi sa di aver già vinto la partita più importante, quella contro la malattia.

Perché nel 2014, durante la terza stagione in giallorosso, a Castán viene riscontrato un cavernoma, un problema al cervello che gli impedirà di continuare a giocare. L’operazione, la lunga e lenta ripresa, prima con la Roma e poi col Toro. E ora la nuova sfida. Al Cagliari, dove il difensore cerca il riscatto.

Ecco la prima parte dell’intervista, dedicata proprio a quei giorni del 2014 che hanno cambiato la sua vita.

Il giorno fatale:Era il 13 settembre. Giocavamo a Empoli. A fine primo tempo rimasi negli spogliatoi per un fastidio muscolare. Meglio non rischiare, il mercoledì c’era la Champions. Il giorno dopo era domenica e giocavo coi miei figli. Mi girava la testa, andai a riposare. Ma il giorno seguente ancora la vertigini non erano passate. Stavo male e chiamai il medico della Roma: andammo in ospedale e lì scoprimmo che c’era qualcosa al cervello. In un giorno ho perso tutto“.

Uscirne non è stato facile:Prima di tutto mi ha aiutato la fede. Molti la avrebbero abbandonata, in me invece è aumentata. Poi la mia famiglia e in particolare mia moglie mi è sempre stata vicina, ‘nella buona e nella cattiva sorte’ come si dice nella promessa di matrimonio. E poi due giocatori che avevano avuto il mio stesso problema: Federico Melchiorri e Marco Zanchi. Mi hanno dato forza e convinto a fare un’operazione che non volevo fare“.

Poi, la scelta: Quando si è scoperto che fosse un cavernoma avevo due strade: l’operazione o smettere di giocare. Avevo scelto la seconda, ma quando sono tornato a casa mia moglie mi ha risposto: ‘Ok. Io sono incinta’. A quel punto volevo lasciare la Roma e tornare in Brasile. Ma il ds Sabatini non voleva lasciarmi andare. Una settimana dopo stavo guardando una partita sul divano e hochiamato il medico. Ho chiesto di essere operato, subito“.

Paura? Tanta. Sognavo di entrare a Jau, la mia città, dentro una bara. Mi vedevo dall’alto, in mezzo alla folla che i salutava. Ero sicuro che sarei morto davvero. Poi pensavo mi nascondessero la verità, perché su internet leggevo che avevo un tumore maligno. Ho pianto, tanto volte. Ma questa ora è la mia forza. Non mollo mai e so di potermi rialzare”.

Il risveglio e la lenta ripresa:Subito dopo l’operazione ho visto mia moglie e i medici. Non potevo muovermi. Sono rimasto così due giorni, sembravano due anni. Poi ho dovuto imparare di nuovo tutto, anche a camminare. Il percorso è stato più lungo del previsto. Dio mi ha aiutato: quando prego chiedo solo che sia fatta la sua volontà. Io faccio la mia parte e so che, prima o poi, tornerò ai miei livelli“.

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