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ESCLUSIVA – Lulù Oliveira: “Mazzone mi preferì a Weah. Chiesa mi somiglia”

Da un’isola a un’isola. Da São Luís alla Sardegna, passando per il Belgio. Luís Airton Oliveira Barroso, o più semplicemente Lulù Oliveira, è uno dei più forti e celebri giocatori che abbiano vestito la maglia del Cagliari. Con i sardi dal 1992 al 1996 e poi di nuovo nella stagione ’99-’00; esperienze intervallate dall’avventura alla Fiorentina. Quella di venerdì alla Sardegna Arena, dunque, per Lulù è una partita speciale e “Il Falco” ne ha parlato in esclusiva per CalcioCasteddu.

Lei è doppio ex di Cagliari e Fiorentina: chi arriva meglio alla sfida in programma nel prossimo turno?
Da quando è arrivato López il Cagliari ha cambiato faccia. I giocatori lo ascoltano. Anche contro la Roma ho visto una buona prestazione. La Fiorentina invece è una squadra imprevedibile, è riuscita a fermare anche il Napoli. Il problema è l’attacco…

Cosa si aspetta dalla partita di venerdì? Ha in mente qualche protagonista?
Il Cagliari deve giocare per vincere. La Fiorentina è una buona squadra, soprattutto ben allenata da Pioli, ma ha difficoltà a trovare la rete. I sardi invece hanno bisogno dei gol di Pavoletti, che piano piano stanno arrivando. Il pubblico sarà fondamentale: quando il Cagliari gioca in casa con il sostegno della tifoseria diventa un’altra squadra. Si è visto anche contro la Sampdoria: anche nei momenti difficili i tifosi non mollano mai e questo per i giocatori è importante“.

Cresciuto in una poverissima famiglia brasiliana, Oliveira da adolescente si trasferì in Belgio. Per poi passare al Cagliari nel 1992: allenatore Carlo Mazzone; presidente, appena entrato in carica, Massimo Cellino. Da lì ha calcato i più grandi palcoscenici in Italia e in Europa: pensa che la sua storia possa essere un esempio per tanti bambini e ragazzi?
Assolutamente sì. A Catania spesso mi è capitato di andare nelle scuole a raccontare la mia storia ai bambini. Spesso nella vita ci sono esperienze difficili, la mia è un esempio. Lasciare il Brasile per andare a vivere in Belgio è stata dura, non è un viaggio come Cagliari-Roma o Cagliari-Milano. Ma non ho mai avuto nostalgia di casa. Per me essere lì era una sfida, perché dentro di me volevo soprattutto aiutare la mia famiglia. Questa è stata la mia vera forza. Spesso mi capita anche di raccontare ai miei giocatori qualche episodio della mia carriera, per fargli capire chi era Lulù Oliveira nel calcio italiano ed europeo ma soprattutto in modo per spiegare loro quanto sia bello ma anche quanto sia difficile il mondo del calcio. Per arrivare ad alti livelli ci vuole impegno e lavoro. E questo dipende soprattutto dagli stessi calciatori“.

A Cagliari è arrivato alla qualificazione in Europa e poi alle semifinale in Uefa. Con la Fiorentina invece ha vinto la Supercoppa italiana ed è arrivato fino alla qualificazione in Champions League. Lei è un simbolo degli anni novanta.
Gli anni novanta per me sono stati anni fantastici. Ogni anno o quasi c’era un’italiana che vinceva la Champions o la Uefa. Il campionato italiano era difficilissimo e ricco di campioni: era un simbolo dei campionati europei. Ora il calcio è cambiato tantissimo. E anche le aspettative sono diverse: da quanti anni nessuno vince una Champions o un’Europa League? Ecco. Ora abbiamo anche buttato via un mondiale… Peccato, poteva essere importante“.

Cosa ci racconta delle due esperienze a Cagliari?
A Cagliari sono arrivato grazie a Mazzone. Si dice che mi preferì a Weah. Cagliari neanche la conoscevo (ride, ndr). Poi una volta in Sardegna mi sono innamorato: con tutte quelle spiagge… Mi ha ricordato il Brasile. L’avventura a Cagliari è iniziata così. E con qualche panchina: ma era normale, erano decisioni del mister. Anche se ogni volta che mi metteva in campo lo ripagavo con un gol. Finché non ha deciso di mettermi titolare fisso“.

Ma è vero che Mazzone inizialmente ce l’aveva col suo look da un po’ troppo appariscente per i suoi gusti?
E anche qui Lulù non trattiene la risata: “Mazzone era un uomo dal carattere molto forte. I capelli lunghi non gli piacevano, le treccine non gli piacevano, il modo in cui mi vestivo nemmeno. L’unica cosa che potevo fare era fare gol, almeno quella era una soddisfazione che gli potevo dare. Ciò che si capisce del mio percorso è che avevo tanta fame. Ora invece a diciotto anni si guadagna già sei milioni… Negli anni novanta neanche i campioni guadagnavano certe cifre“.

È chiaro il riferimento a tanti giovani strapagati della Serie A (Donnarumma?) o a tanti grandi talenti che poi sembrano sciogliersi come neve al sole. Come è chiara la posizione di Lulù nei confronti del calcio moderno.
Per raggiungere certi livelli devi avere fame dentro. La fame ti fa arrivare dove non puoi nemmeno immaginare. E poi è importante ascoltare, soprattutto quelli più grandi di te. Non bisogna sentirsi arrivati, anche se i giornali ti dedicano le prime pagine. Perché poi una volta che sei sotto ci mettono poco ad affossarti. Invece bisogna stare con i piedi per terra e ascoltare gli altri: solo così si va avanti“.

A proposito di giovani talenti e di Cagliari-Fiorentina: se fosse un direttore sportivo e dovesse scegliere un giovane da acquistare… sceglierebbe Barella o Chiesa?
“Probabilmente Barella: essendo un centrocampista ha più visione di gioco per costruire l’azione. Ma per me possiamo prenderli tutti e due! (ride, ndr)”.

C’è qualcuno in cui si rivede nella Serie A attuale?
Proprio Chiesa in effetti mi somiglia. Soprattutto per velocità e dribbling

Francescoli al Cagliari, Batistuta, Edmundo e Rui Costa alla Fiorentina, Signori al Bologna: chi è il più forte con cui ha giocato?
Ci sarebbero anche quelli con cui ho giocato contro: Van Basten, Rijkaard e tanti grandi giocatori. In ogni caso il più forte con cui ho giocato per me è stato Bati. Senza nulla togliere a Francescoli, che per me era un giocatore straordinario. Di lui racconto sempre un gesto tecnico che mi affascinava troppo: cross al centro e lui appostato in aerea. Un giocatore normale colpisce di testa. Lui invece no: saltava e col petto la faceva scivolare la palla sul piede per poi tirare in porta. Era un gesto bellissimo. Ho provato anche a imitarlo più volte, ma non ci sono mai riuscito. La sua classe era unica. Ma altri grandi amici e compagni sono stati Dely Valdes, Muzzi. Quando giocavo con loro eravamo talmente veloci che se la palla andava in avanti per i difensori era davvero difficile prenderci“.

Passiamo all’attualità. Quinto con il suo Muravera, come sta andando l’avventura in Eccellenza?
Stiamo perdendo un po’ troppi punti fuori casa. Non dobbiamo adagiarci e anzi dobbiamo riprenderci, già sabato magari, nella prima del girone di ritorno. Io sono contento dei miei ragazzi: le vicissitudini estive e l’esclusione dalla D (era candidata al ripescaggio, ndr) ci hanno un po’ distratto. Ora speriamo di continuare a migliorarci”.

Per chi tifo venerdì? Il primo amore non si scorda mai. La Fiorentina è stata importante per la mia carriera. Ma spero che vinca il Cagliari“.

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