IL SALTO. “Ho fatto tutta la gavetta. Non sono stato un campione come calciatore a cui spettava la Serie A di diritto, sono partito da zero. Capiamo tutti di calcio, a parole, ma pochi lo masticano realmente. Oltre 30 anni fa, a Cagliari, mi resi conto che riuscivo a trasmettere le mie idee, parlare con stampa, giocatori, dirigenti, tifosi. Quello è stato il momento più bello, in cui ho capito di poter fare questo mestiere. Per questo Cagliari e l’Isola rappresentano il mio scoglio duro nei momenti difficili. E per questo ho riflettuto a lungo, prima di tornare“.
RESPONSABILITÀ. “Cerco sempre di mettermi dall’altra parte di chi mi guarda o legge il giornale. Non mi piace dare la colpa a tizio, all’arbitro, a un giocatore, al calcio di rigore, al mercato. Ho la nave e devo portarla in porto, gli alibi non fanno per me e non evitano il naufragio. Le responsabilità sono solo mie. Esonerarmi? Non credo sia difficile. Il giorno in cui mi vedessero depresso o non più in grado di comandare la barca, diventerebbe opportuno farlo“.