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Gigi Riva si racconta come non aveva mai fatto: l’anticipazione del suo libro

Il mito del Cagliari e della Nazionale italiana si racconta in un lunga e inedita confessione che abbraccia la sua vita in campo e fuori: libro edito da Rizzoli, in libreria dal 1° novembre, in collaborazione con l’editorialista de La Stampa, Gigi Garanzini

Un’impresa, probabilmente. Quella di Gigi Garanzini, editorialista de La Stampa, potrebbe definirsi così. È riuscito infatti a far parlare Gigi Riva di se stesso in un racconto mai banale. E così è nato “Mi chiamavano Rombo di Tuono”, libro di 208 pagine edito da Rizzoli, in uscita il 1° novembre, distillato di racconti preziosi del grande campione, che racconta in prima persona la sua vita sportiva ma anche quella di tutti i giorni, compresi i periodi bui che è sempre riuscito a tenere lontano dalla umana curiosità di chi lo ha sempre percepito come un mito vivente.

Da La Stampa, proponiamo uno stralcio del libro davvero significativo.

“Non sono mai stato un chiacchierone. Mi piacciono i silenzi, mi piace semmai parlare con me stesso. Il silenzio è stata una parte importante della mia vita, che quand’ero troppo giovane mi ha detto: «Arrangiati». E io mi son dovuto arrangiare. Mi sono chiuso, questo sì. Ma non è vero che sono diventato triste o malinconico: ho dovuto semplicemente fare i conti con l’infanzia che ho avuto, con i lutti, con le nottate a occhi spalancati aspettando il sonno che non arrivava.

Il calcio mi ha aiutato, mi ha dato tanto per non dire tutto. Ma quando sono uscito per sempre dal campo, dal sogno che si era avverato e aveva tenuto lontani, entro certi limiti, i fantasmi notturni, ho dovuto cominciare a fare i conti, fino a lì sempre rimandati, con quella parola. Depressione. Che fatico persino a pronunciare, perché significa farmi del male. Il calcio, la carriera, i gol erano stati la reazione che mi serviva: prima una spinta, poi un propellente vero e proprio a mano a mano che arrivavano i successi. Venendomi a mancare tutto questo di colpo, non con un declino progressivo come avevo sempre pensato sarebbe successo, mi sono sentito perso. Per fortuna, nel momento peggiore, mi hanno salvato i figli. Prima è nato Nicola, poi Mauro, e la vita è tornata ad avere un senso. Grazie a loro quella brutta parola che ho scritto una volta sola, e non voglio ripetere, è stata superata. Comunque è regredita, tornando a manifestarsi ogni tanto ma non in quella misura. Un problema di testa con cui ho imparato a convivere. Mai del tutto, perché quando si rifà vivo rimane un brutto avversario da affrontare.

Mi vien da dire che invecchiare non aiuta, per tante ragioni, ma è vero fino a un certo punto: avevo poco più di trent’anni quando l’ho conosciuta nella sua forma peggiore. Un altro periodo brutto, poco meno di dieci anni fa, ricordo di averlo raccontato al Corriere della Sera”. […]

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