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40 anni fa: sponsor sulle maglie, una vittoria del presidente perugino D’Attoma

Oggi, 23 marzo, non ricorre solo l’anniversario dello scoppio dello “Scandalo Calcioscommesse”. In quello stesso 1980, si verificò un evento che avrebbe cambiato tutto nel mondo del calcio italiano: per merito della testardaggine di Franco D’Attoma

ESCAMOTAGE. Quando si dice: “Chi la dura, la vince“. Non esiste forse espressione più corretta per ricordare Franco D’Attoma, presidente del Perugia, che il 23 marzo di 40 anni fa vide riconosciuta la propria testardaggine. A cosa ci riferiamo? Andiamo con ordine. Prima del 1980, veniva consentito – conquista peraltro recente, stagione 1978-79 – alle squadre di club di mostrare sulle proprie divise da gioco solo lo sponsor tecnico, fornitore dei capi indossati dai calciatori su ogni campo italiano. Ma le società, causa indebitamento, desideravano strizzare l’occhio alle aziende per ricevere iniezioni di denaro fresco nelle proprie casse, grazie alla pubblicità. La Federazione non voleva sentire ragioni, anche se i mugugni dei club – sostenuti pure a livello mediatico – non potevano essere ignorati. Il primo tentativo (riuscito) di esposizione di uno sponsor non tecnico fu messo a segno dal presidente dell’Udinese Teofilo Sanson. Sfruttando una piega nell’interpretazione delle normative, che vietava sponsorizzazioni sulle “maglie da gioco”, Sanson fece apporre il proprio marchio (riferito appunto al suo impero del gelato) in verticale sui pantaloncini dei friulani. Era l’8 ottobre 1978. L’episodio fu clamoroso, così come la pronta replica della Federazione e del Giudice Sportivo: i pantaloncini furono ritenuti compresi nell’abbigliamento di gioco e l’Udinese fu multata di 10 milioni di lire. La strada era però stata aperta al cambiamento.

TESTARDAGGINE. Come detto, a partire dalla stagione 1978-79 fu consentita l’esposizione di un piccolo marchio sulle divise, riconducibile esclusivamente al fornitore delle stesse. Poi, l’intuizione e la testardaggine del presidente del Perugia Franco D’Attoma risultarono decisive. Per poter reperire i 700 milioni necessari all’acquisto del bomber della Nazionale Paolo Rossi, D’Attoma si accordò con il pastificio Ponte: a patto che il marchio dell’azienda apparisse sulle divise da gioco e da allenamento. Come fare, dato che la presenza dello sponsor non tecnico sulle maglie era vietato? Ecco l’intuizione di D’Attoma. Nel giro di poche ore fondò un maglificio con il medesimo nome del pastificio, creando la Ponte Sportswear, che a quel punto poteva formalmente comparire a tutti gli effetti come sponsor sui capi del Perugia. Fu il primo caso di sponsorizzazione non tecnica a comparire sulle casacche di una squadra italiana. La FIGC rispose squalificando D’Attoma e disponendo l’immediata rimozione del marchio dalle divise del Perugia, con annessa sanzione di 20 milioni.

Il presidente del Perugia Franco D’Attoma (a destra) mostra le storiche divise insieme a Marino Mignini (azienda Ponte)

RIVOLUZIONE. Tuttavia, il dirigente non gettò la spugna. Anzi… rilanciò e in grande stile. Tirò avanti per la sua strada con cocciutaggine, apponendo il marchio non solo su tutti gli indumenti della squadra (ad eccezione della divisa da gioco) ma anche sull’erba dello stadio Renato Curi e addirittura sulle reti delle porte: D’Attoma, a cui fantasia e lungimiranza non facevano certo difetto, non si fece fermare da niente e nessuno. Fino a quando, in seguito a varie peripezie burocratiche, giunse la tanto attesa autorizzazione federale. Il 23 marzo 1980, in occasione della gara contro la Roma, la prima volta ufficiale nel campionato di Serie A: il debutto, ancora clandestino e scavalcando le norme, era avvenuto in Coppa Italia nell’agosto precedente. Il marchio del Pastificio Ponte potè campeggiare finalmente sulle maglie senza più divieti, se non a livello di dimensioni. Da allora cambiò ogni cosa, grazie all’ingresso in massa delle aziende desiderose di visibilità sul palcoscenico preferito dagli italiani. Forse il primo mattone verso la deriva commerciale del pallone e la fine del calcio romantico? Può darsi. Ma senza la spinta di D’Attoma il movimento sarebbe andato incontro a sicura sofferenza, nell’interesse della sostenibilità finanziaria dei club.

 

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