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Articolo del tifoso – Tirare a campare non giova al futuro

Gli esempi tattici del passato a confronto con la squadra attuale.

 Fa specie lo stupore generale per la doppia sconfitta casalinga del Cagliari Rastelliano, e per l’atteggiamento della squadra nella seppur quasi scontata sconfitta del San Paolo (di cui non scriverò nello specifico perché la difficoltà della gara porta in dote un buon alibi ma che ha comunque evidenziato un atteggiamento di squadra comunque insufficiente). Per quanto i primi due risultati possano apparire come delle sorprese inaspettate, il come sono arrivati invece ha rafforzato le caratteristiche che la squadra ha mostrato già dall’esordio in Serie B con il tecnico campano in panchina. Al terzo anno di guida tecnica si ha la possibilità di tracciare un bilancio che prescinde da giudizi negativi o positivi in toto, ma che vuole solo analizzare le caratteristiche della squadra stessa.

 Il Cagliari di Rastelli è una squadra che si fonda totalmente sui singoli, nel bene e nel male. Ciò non è totalmente negativo, altri Cagliari in passato l’hanno fatto. Il Cagliari di Reja si basava sul genio di un Zola “falso 9” che innescava le frecce laterali Esposito, Suazo e/o Langella. Come in tutte le cose è il “come” che discrimina, in questo caso, come si sfruttano i singoli stessi. Se l’estro, la classe e l’intelligenza tattica di Zola faceva si che non avesse necessità di dettami specifici, probabilmente gli altri attaccanti seguirono il buon Edy nell’imparare dei movimenti a memoria negli spazi e col tempo giusto che furono caratteristica principale di quel Cagliari, che, senza avere un gioco di squadra totale e scintillante aveva però delle caratteristiche specifiche, riconoscibili, letali per gli avversari e che divertivano non poco il pubblico del Sant’Elia.

 Dopo tre anni è praticamente impossibile ricordare una giocata a memoria del Cagliari di Rastelli, una sua caratteristica tattica, una sua peculiarità, se non quella di affidarsi all’estro dei singoli che con giocate personali si fanno carico delle sorti della squadra. Basta analizzare i gol di Borriello lo scorso anno, la percentuale di quelli siglati con azioni personali è di gran lunga maggiore rispetto a quelli che hanno avuto una costruzione che denotasse una parvenza di gioco di squadra. Si ricorda qualche assist di Isla da destra e poco più, mentre sono palesi reti come quella di Pescara o di Crotone dove l’attaccante compie tutto da solo. Da contraltare fanno le prestazioni di Leonardo Pavoletti, centravanti che nulla ha da invidiare a Borriello, ma che necessita per caratteristiche di una squadra che giochi per lui e lo serva a dovere essendo meno propenso del campano a fare tutto da solo in zona gol e più portato a finalizzare il lavoro dei compagni e quindi meno adatto al Cagliari di Rastelli rispetto a Borriello. Anche a Ferrara dove la squadra è stata osannata, i gol sono arrivati da due lampi dei singoli. e nei contropiede finali dove si poteva arrotondare è apparso palese come il tutto sia dato in mano ai singoli giocatori, senza movimenti specifici in ripartenza com’è normale che sia.

 Viene difficile pensare che Rastelli non provi queste e altre cose in settimana, ma al terzo anno non si intravede una crescita generale della squadra, tutto sembra legato al caso e ai singoli giocatori. Giocatori che compongono una buona rosa che, per esempio, nonostante una lezione di tattica inflitta da Bucchi, potevano far vincere la gara alla squadra ribaltando il risultato contro il Sassuolo. Non escludo che Rastelli possa essere in futuro un ottimo selezionatore per nazionali di buon livello, o un buon allenatore da grande squadra, dove elementi di qualità vanno spesso gestiti e a cui meno si “insegna” calcio (Anche se Sarri e Spalletti denotano come non sia sempre così).

 È ormai consuetudine come con squadre che lasciano spazio ai rossoblù i singoli riescano ad emergere mentre con squadre che tatticamente imbrigliano i singoli, vedi Sassuolo e Chievo, la squadra non ha una qualsiasi strategia tattica per uscire dal pressing asfissiante avversario e appare totalmente annullata dai dirimpettai. Da evidenziare inoltre come la squadra abbia una rosa molto duttile e utilizzi praticamente sempre il 4-3-1-2 (anche quando, come col Chievo, è risultato palese come le mezz’ali non riuscissero a incidere con movimenti che potessero aiutare i compagni stessi, Miangue ha pagato in prima persona il malcontento di qualche settore dello stadio, ma con il modulo usato dal Cagliari, se il terzino che sale non è aiutato dai movimenti della mezz’ala che gli dovrebbe creare spazio e possibilità di triangoli per andare a crossare, mentre gli avversari con lo stesso modulo difendono quell’out in due con terzino e mezz’ala di parte che collaborano a memoria, il terzino che attacca è penalizzato in partenza) anche se la rosa sembrerebbe adatta ad una difesa a tre, modulo “bruciato” nelle prime giornate dello scorso campionato senza averlo mai provato (il passaggio dalla difesa a 4  quella a 3 è delicato e necessità di lavoro in quanto i movimenti dei difensori variano molto) per questioni di emergenza di uomini (Genoa-Cagliari) e poi abbandonato (senza lavorarci quest’anno con insistenza neanche in ritiro) sul finire dell’anno invece con la salvezza in tasca si giocò spesso con il 4-2-3-1 con qualche sprazzo di squadra che fece ben sperare, ma anche quel modulo è andato in soffitta tanto da non considerarlo neanche a partita in corso.

 È giusto dire che la manovra del Cagliari attuale è parsa le prime giornate più rapida ed efficace in uscita dalla propria trequarti rispetto al passato recente, ma anche questo è merito di un singolo come Cigarini che gioca palloni di prima spesso e volentieri, saltando tempi di gioco e facendo guadagnare metri e superiorità in uscita alla squadra. Con Di Gennaro e Tachsidis, che sono due registi a cui piace toccare più volte la palla prima di giocarla, la manovra d’uscita appariva più lenta e faraginosa. In quel ruolo quest’anno società e allenatore hanno commesso un grande errore, proprio per l’importanza di Cigarini, non avere un suo alterego in grado di farlo rifiatare è stata un harakiri tattico notevole, in più pensando a Colombatto presente in rosa, vero è che a Perugia giocherà e si farà le ossa, ma a Cagliari avrebbe potuto apprendere tanto dall’ex Atalanta e Samp e avrebbe giocato le sue gare per dar tregua al compagno. E se si fosse deciso per far partire l’argentino in prestito comunque si doveva provvedere con un regista di riserva, uno che mastica quel ruolo, non snaturare Barella, che in quel ruolo perde tutto il suo dinamismo i suoi inserimenti e le sue sgroppate palla al piede, praticamente tutte le caratteristiche che lo contraddistinguono e che li hanno fatto raggiungere la nazionale maggiore. Possibile che queste cose staff e società non le abbiano valutate?

 Che Barella possa fare il mediano piuttosto che la mezz’ala ci sta, l’ha sempre fatto nelle nazionali giovanili che giocavano con due mediani in mezzo al campo, lo farebbe in una squadra di Gasperini per esempio, ma fare il mediano con accanto un’altro è cosa diversa di fare il vertice basso del rombo da regista, totalmente diversa.

I rossoblù hanno un solo copione tattico, palla al trequartista, Joao Pedro quasi sempre e si vede che succede, se lui è marcato stretto ricerca della profondità verso le punte sempre e comunque senza un movimento corale ma solo scatti singoli a dettare spesso passaggi imprecisi e di facile lettura per le difese. Con squadre come il Sassuolo e il Chievo viste alla Sardegna Arena, se non si creano i presupposti per uscire dal pressing non si riesce a cavarne piede. Il 4-3-1-2 ormai da Ballardini in poi è un po’ per il Cagliari quello che il 4-3-3 è per Ajax o Barcellona, come facevano vecchi Cagliari a sfangarla contro squadre agguerrite a pressare all’ultimo sangue? Una soluzione l’aveva trovata Max Allegri che ereditato il modulo da Ballardini lo mantenne aggiungendoci delle sfumature vitali per mantenerlo efficace, ciò che si ricorda di più è la sventagliata a memoria di fini o Lazzari per Cossu che si allargava sulla linea laterale allargando le difese avversarie e che puntava il terzino, spesso saltato e metteva in mezzo palloni deliziosi o serviva il suo terzino che saliva con tempi e modi perfetti.

 Quando gli avversari fanno densità le partite le sblocchi sulle fasce come tutti sanno, se Allegri ribaltava l’azione con cambio campo facendo puntare la difesa dal lato debole e impreparato, il Cagliari di Ventura era molto più sornione ma ugualmente era riconoscibile il marchio di fabbrica del tecnico genovese. Il giro palla di quel Cagliari appariva a tratti tediante, ma dopo i primi malcontenti il Sant’Elia lo digeriva come fosse un tiki-taka perché sapeva fosse una preparazione alla giocata d’attacco che prontamente avveniva appena l’avversario lasciava uno spiraglio vedendosi costretto ad allargare le proprie maglie dall’ampiezza del Cagliari che teneva Macellari e Vasari sulle linee laterali a spingere e aveva mezz’ali come De Patre pronte ad inserirsi nello spazio lasciato dal movimento delle punte.

 Perché parlo di Cagliari del passato? Perché tutti hanno delle caratteristiche tattiche che si ricordano a memoria, mentre questo Cagliari dopo tre anni non ha elementi per riconoscerlo, e se i campionati mediocri in generale con squadre deboli che ti permettono di salvarti fossero presi come un’opportunità per avere un progetto tattico che possa svilupparsi e sbocciare nei prossimi anni quando ci si trasferirà al nuovo Sant’Elia e sarà obbligatorio il tanto agognato salto di qualità, anziché tirare a campare sapendo di riuscire a salvarsi per la forza della rosa e poco più, il futuro apparirebbe molto più roseo per tutti.

 di S. Meloni

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