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ESCLUSIVA – Capozucca: “Mi hanno impedito di fare il mio lavoro”

L’ex ds del Cagliari interviene a tutto campo su passato e presente in casa rossoblù. “Liverani? Per ora non lo caccia”

“Mi fa imbestialire un aspetto: sento l’allenatore parlare di scorie della retrocessione, che sarebbero la causa del pessimo cammino mostrato finora. Ma anche noi nel 2015 venivamo dalla A. È ora che al Cagliari qualcuno si prenda le responsabilità che gli competono”. Stefano Capozucca è una furia. L’ex diesse rossoblù chiama e racconta. Al lordo di un mondo dove squalo non morde squalo, ed è buona norma non chiudersi mai alle spalle nessuna porta, il dirigente ha sempre avuto per i tifosi e per la città rispetto e attenzione. Richiamato dal presidentissimo nel catastrofico passaggio con Eusebio Di Francesco in panca e Pierluigi Carta diesse, è stato autore della scelta di Leonardo Semplici. “Abbiamo fatto un miracolo, l’hanno dimenticato in fretta” dice tutto d’un fiato. Il plurale è obbligato, ma tutti, anche le panchine di piazza Yenne, sanno chi è che fa e disfa in casa rossoblù.

Capozucca ha, casomai, la colpa di aver assecondato la società troppo a lungo. Ad esempio, nel cacciare Godin e Caceres. O nell’aver preso parte alla surreale conferenza post retrocessione. Ma queste sono storie da approfondire. Il dirigente taglia corto: Se fossimo rimasti in A mi sarei dimesso a Venezia. Andar via dopo essere retrocessi in quel modo mi sembrava una vigliaccata. Sono voluto rimanere per partecipare alla ricostruzione della squadra: lo dovevo al popolo sardo che mi ha sempre mostrato stima e considerazione”.  Punto e a capo. Intanto, il Cagliari, dopo l’epurazione del diesse e del dg, Mario Passetti, fa sempre peggio: 19 punti in 16 gare. Dopo il tonfo di Terni, i rossoblù sono a +2 dai play out. Un incubo che da una stagione all’altra perseguita la tifoseria. Che si chiede, e contesta con forza patron e tecnico, quali siano le prospettive.

Direttore, cosa succede e cosa può succedere?

“Anche se l’ultima vittoria risale al 15 ottobre con il Brescia, mi confermano dall’interno che lo tiene (Liverani, ndr) almeno fino alla sosta. Le partite con Perugia, Palermo e Cosenza saranno decisive. Certo, se con il Perugia in casa succede quel che nessuno di noi vuole, per il bene del Cagliari e di un’intera regione, tutto può accadere”.

Ma lei perché è stato messo alla porta?

“Avrò commesso degli errori, ma mi hanno impedito di fare il mio lavoro fin dalla scorsa estate. E mi dicono che anche per il mio successore non stia andando al meglio”.

Messa così sembra facile. Ricapitoliamo: lei viene chiamato nel post Di Francesco-Carta. Cosa è successo?

“Che il presidente mi dà retta e prendiamo Semplici. Poi, avete visto come è andata. Facciamo un miracolo, ci salviamo con due giornate d’anticipo e manteniamo la categoria che sappiamo cosa significhi per denari, potere, stadio. Poi, si riparte. E sono cominciati i problemi. Il rinnovo di Semplici pareva scontato ma non è andata così. Il presidente non era contento, abbiamo sentito Juric che ha chiesto una serie di garanzie, anche finanziarie, e anche la moglie, per motivi familiari, voleva evitare il trasloco”.

E avete ripreso Semplici per i capelli.

“Sì. Ma in questi casi si paga dazio. Aveva chiesto dei calciatori e non è stato accontentato. Ha capito subito che tutto sarebbe stato in salita ma di certo non si aspettava l’esonero dopo tre partite. A proposito, lui avrebbe tenuto Simeone, ma hanno deciso altrimenti”.

Tutti si chiedono: ma come ha potuto esonerare Mazzarri a tre giornate dalla fine quando, caso mai, andava esonerato prima?

“Non entro nel merito, ma è stato licenziato e non esonerato. Mi riferiscono che ha portato il club in tribunale e che ci siano già stati vari interrogatori”.

Facciamo un altro passo indietro. Lei salta anche l’anno della B vinta in carrozza e dopo l’undicesimo posto in A. Perché?

“Sono nel mondo del calcio da quarant’anni, ne ho viste di ogni colore. Ma a tutto c’è un limite. Se il mio parere non conta mi faccio da parte. Visti i dubbi del presidente sul tecnico ho proposto Gasperini, che poteva sganciarsi dal Genoa. Me l’ha bocciato. E poi non ha dato tempo a Rastelli”.

Parliamo del secondo anno in A, quando Isla, Bruno Alves e Murru furono sostituiti da Van der Wiel, Andreolli e Miangue?

“Sì, ma lasciamo stare”.

Ed eccoci al presente. Perché il Cagliari, designato da tutti come una delle candidate alla risalita diretta, sta soffrendo in questo modo?

“Di certo, non perché, come sento ripetere a ogni conferenza stampa, per le scorie della retrocessione, per le proteste sui social o perché sono stati ceduti pezzi importanti. Anche noi dopo la caduta in B, e dopo aver mietuto vittime illustri come Zeman, Zola e Festa, abbiamo ceduto pezzi importanti. Penso a Nainggolan, Ekdal, che era un pupillo del presidente, Rossettini e Avelar. La differenza l’ha fatta e la fa l’intesa con l’allenatore: Rastelli l’ho scelto io e c’era la massima unione, si discuteva di tutto e poi lui procedeva. Era umile e ascoltava, anche nei momenti più complicati manteneva la calma. E ha firmato il record di punti, gol fatti e vittorie totali e in trasferta. Adesso non va così”.

Quanto ha influito la sua mancata intesa con Muzzi?

“Ho già detto che non abbiamo mai litigato semplicemente perché non ci siamo quasi mai parlati. La proprietà ha scelto di saldare l’asse allenatore e club manager. Amen”.

Dalla panchina si rimarca spesso, facendo riferimento anche al Parma, che è quasi impossibile risalire in A al primo anno. Lei cosa ne pensa?

“Balle. Ripeto, noi ci siamo riusciti e siamo arrivati primi cosa che non è riuscita né al Cagliari di Riva né a quello di Zola. La presunzione non paga mai, adesso pare quasi che si arrivi dal Real Madrid. Mi ricordo che nell’anno della promozione, le pressioni del presidente sono state forti: nel 2016 siamo andati a Bari per lo scontro diretto, avevamo 9 punti di vantaggio e continuava a pestare sui rischi di una sconfitta. Abbiamo vinto 3-0. Per stare all’attualità, è ovvio che le gare non le vinci con le statistiche del possesso palla, specie se non tiri in porta”.

Alla sedicesima d’andata il Cagliari di Rastelli aveva 32 punti. Da fuori ci si chiede cosa ci sia dietro una squadra che ancora ha poche idee di gioco, soffre con chiunque in casa e fuori, tira poco.

“Dico solo che dopo la sconfitta di Ascoli sono stato un po’ duro sul charter. Ai ragazzi ho detto che dovevano guardarsi allo specchio, anche perché i loro quattro o cinque migliori stipendi sommati erano il budget totale degli avversari. La mattina seguente ad Asseminello ho avuto un confronto con Liverani. Ci sta. La squadra si è allenata bene, abbiamo riannodato i fili. Per pranzo mi chiama il presidente, gli avevano riferito tutto. E mi dice che devo dimettermi”.

Cosa che non ha fatto.

“Abbiamo risolto il contratto consensualmente nei giorni scorsi. Per inciso, su 26 ragazzi in rosa ho ricevuto messaggi importanti e positivi da venti”.

Va bene. Però non può essere che lei sia stato uno che al Cagliari, mercato incluso, è passato per caso.

“No. Ho portato Makoumbou, Di Pardo, che ha fatto bene nel Cosenza di Bisoli, Carboni, che ho visto giocare nella Primavera dell’Inter e a seguire, Barreca, preso consensualmente con il presidente. Lapadula, Viola, Mancosu e Falco sono stati gestiti direttamente dall’allenatore”.

E sul fronte cessioni com’è andata?

“Ho venduto tutti, come da indicazioni. Pensavamo a due stagioni per ricostruire e risalire. Poi, i troppi denari hanno fatto cambiare rotta e prospettive. Intanto, ero riuscito a piazzare Pereiro allo Spezia, avremmo dovuto pagargli metà stipendio e ci davano Agudelo. Sapete chi ha detto no. Ma mi spiace che Gaston venga trattato male. Se non ti sembra utile, lascialo fuori, ma evita di farlo giocare fuori ruolo per un paio di minuti”.

In quella nota conferenza avete parlato di restaurazione e riflessione con un occhio di riguardo ai giovani. Ma non è andata in questo modo. Perché?

“I miei margini sono stati ridotti a zero. Mi sono dovuto impuntare per tenere Luvumbo, l’unico che salta l’uomo e che deve avere una maglia dal 1’. Hanno dato Desogus, molto forte, e acquistato Falco, dopo avermi detto che non sarebbe successo. Poi, mi hanno precisato, in pratica, di farmi i fatti miei. Hanno preso Dossena quando avevo il Covid e Capradossi a costo zero. Ripeto, non ho potuto fare il mio mestiere. Dovevamo prendere Doig, nazionale scozzese finito al Verona, e Ferguson, adesso al Bologna”.

Insomma, l’allenatore ha avuto quel che chiedeva?

“Certo. E se penso che in precedenza a Cagliari è stato cacciato il mio collega Marcello Carli proprio perché suggeriva Liverani! In questa stagione avevo praticamente chiuso con Inzaghi, come lo stesso Pippo ha detto, ma non l’hanno neppure ricevuto. E avevo sotto tiro anche De Rossi. Daniele, pagato il noviziato, diventerà uno importante perché sa di calcio, si muove bene con i giovani e lavorare con Mancini gli ha fatto molto bene”.

A Terni Lapadula è uscito furibondo.

“Ho visto, e non è un buon segnale”.

La tifoseria è delusa e amareggiata. In tanti chiedono un passo indietro alla proprietà. Cosa ne pensa?

“Nel calcio tutto può accadere. E non sarebbe un’eresia: nell’ultimo biennio tanti club di piazze importanti, storiche, con tradizioni e titoli hanno avuto un passaggio di mano. Ovviamente, le richieste non possono essere fuori mercato”.

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