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ESCLUSIVA – Zola: “Dai Cagliari, puoi ancora farcela”

Il campione di Oliena sprona i rossoblù: “La partita con il Torino è fondamentale per ripartire. Ma serve concentrazione, fatica e fame”

“Devono rimboccarsi per bene le maniche. Ma possono ancora farcela”. Gianfranco Zola e il suo Cagliari. In esclusiva per Calcio Casteddu, da ex capitano e tecnico in rossoblù, con alle spalle una carriera sontuosa fatta di titoli in Italia e all’estero, l’auspicio del baronetto della Regina Elisabetta ha un valore immenso. “L’organico del Cagliari è superiore a quello delle altre invischiate nella lotta per non retrocedere. Ma adesso, sono inguaiati e non serve specchiarsi sul valore dei giocatori: c’è da sputare sangue”. Catturato al telefono tra Puntaldia e Nuoro, testimonial di attenzione e rispetto delle regole anche in tempi di pandemia con uno spot teso a responsabilizzare i giovani di Oliena, l’intervista con Magic box si annoda con altri colloqui. E ha un tratto caratteristico: la modestia incommensurabile. Quella che assieme alle giocate, ha stregato l’Inghilterra del pallone. Dal Chelsea (miglior giocatore straniero della storia, maglia 25 ritirata, tre stagioni nei primi dieci per il Pallone d’oro, gol da cornice come quello al Norwich di tacco) alla nazionale passando da Napoli e Parma.

Quindi, al Cagliari con la risalita dalla Serie B, dopo aver rifiutato la chiamata last minute di Mourinho per giocare la Champions con i Blues: per un signore senza eguali, in un mondo troppo spesso opaco, la stretta di mano con Massimo Cellino ha avuto la precedenza. Poi le panchine con Under 21, West Ham e Watford. Luoghi, tradizioni, gruppi, mentalità e obiettivi diversi. Storie affrontate con onestà, lavoro, piglio rigoroso. Fattori tipici del ragazzino che dalla Corrasi si è ritrovato in Serie C con la Nuorese. Quindi, la Torres e il balzo in Serie A, con al fianco giganti quali Maradona e Careca. Si parte dal Cagliari, quello attuale. “La zona salvezza va dal Crotone alla Fiorentina. Cinque o sette punti non sono tanti, ma vanno recuperati in fretta. Venerdì con il Toro è decisiva: la vittoria è obbligata. Non è facile uscirne fuori, per riuscirci serve fame, sangue e sudore”.

Cosa manca al Cagliari?
“Con Lazio e Atalanta, club super attrezzati e con altri bersagli, ho visto crescere attenzione e organizzazione. Servirebbe maggiore equilibrio e quadratura. E concentrazione fino al 95’”.

In un campionato senza pubblico diventa tutto più complicato?
“Sì, per almeno due ragioni. Intanto, hanno preso coraggio anche le neopromosse. Benevento e Spezia, ad esempio, erano tra le candidate per la B. Invece stanno facendo punti. E lo Spezia che ho visto battere il Milan, gioca un calcio propositivo, fisico e organizzato con protagonisti sconosciuti”.

Eppure, le rose sono davvero differenti.
“Tra Torino e Parma quella più forte sulla carta ce l’ha il Cagliari. Adesso, va ritrovata fiducia e cuore. Si deve combattere alla morte fino a che non si rientra negli spogliatoi. La gara con il Torino, e poi quelle con Crotone e Bologna, è lo snodo: il Cagliari è chiamato a fare la partita con sicurezza e l’atteggiamento giusto”.

Tatticamente cosa nota?
“La posizione e il raggio d’azione di Nainggolan è importante per l’intera squadra. Ma va curata con il lavoro di Joao Pedro. E anche Nàndez è in grado, per caratteristiche tecniche e rapidità, di dare qualcosa di meglio lontano dalla mediana. Puoi migliorare la fase difensiva ma se non segni tutto si complica”.

La perdita di Rog quanto ha pesato?
“Tantissimo. Un’assenza pesante di un grande giocatore, completo per le due fasi”.

Nell’anno del Covid e del centenario del Cagliari, si va dalla squadra di Maran sesta in classifica a terzultima. Cos’è successo?
“Erano in salute, solidi, elogiati per il gioco. Dal di fuori non si può capire”.

Ha accennato a una seconda ragione. Qual è?
“Il lockdown con gli stadi chiusi sta facendo crescere il calcio italiano. Le neopromosse, le squadre di mezza classifica e quelle ai vertici curano il gioco, vanno a cercarlo, il pressing sistematico e l’equilibrio tra reparti è la norma. Ho visto Inter-Lazio, bellissima, a viso aperto, senza speculazioni difensivistiche. Torno su Spezia-Milan: bella da tutti i punti di vista, soprattutto per lo squilibrio tra i giocatori in campo, per valore, notorietà, esperienza e obiettivi”.

Come giudica Di Francesco?
“Stimo Eusebio, ha ottime idee. Anche se i numeri non sono buoni, bisogna avere fiducia. Ma l’inversione di rotta deve essere rapida: per provare a rimettersi in carreggiata i 3 punti vanno presi venerdì notte”.

Voltiamo pagina. Cosa è stato il 2020 in quasi clausura?
“Un anno terribile. La scomparsa di Maradona per me è stata come una sassata alle spalle. Diego è stato un fratello maggiore. Da ragazzino debuttante in A tra tanti campioni, mi ha insegnato tanto e non lo scorderò mai. È stato un grande, è sbagliato dipingerlo sbrigativamente. Chi ha avuto la fortuna di giocarci assieme ha avuto solo cose buone. Lo scorso autunno l’ho sentito quando era a Dubai, non stava benissimo. Negli anni scorsi ci siamo ritrovati in campo per beneficienza, a Roma e a Manchester, una charity con Robbie Williams. Anche allora mi ha sfidato sulle punizioni: “Sei migliorato, ma hai ancora da lavorare” mi disse. Poi, abbiamo giocato per l’addio al calcio di Ciro Ferrara al San Paolo”.

Chi era Dieguito?
“Un numero uno. Ho avuto duettato con un genio che non ha mai fatto pesare l’immensità tecnica, la gestione della gara, l’intuito. Penso all’estro di Gascoigne o Best: monumentali per visione, gesti e qualità, fragili e perduti fuori dal campo. Maradona rimane un gigante, estremamente vitale per la mia carriera: se non lo avessi incontrato sarei rimasto un buon calciatore. Ha esaltato le mie abilità potenziali. Conserverò la sua immagine da calciatore e da persona che andava oltre i limiti. Senza far mai male a nessuno se non a sé stesso”.

Cosa gli ha rubato?
“Dopo gli allenamenti, mettevamo le barriere per le punizioni: per lui, distanza e potenza da dare alla palla, erano dettagli. Mi spiegò come calibrare la traiettoria. Mi faceva calciare in porta mille volte dall’altezza della bandierina, quattro metri oltre la linea di fondo. Faceva cose mostruose. A Verona segnò da 50 metri a Giuliani che in seguito venne al Napoli. Un giovedì in allenamento Diego, da metà campo e spalle alla porta, ricevette la palla e al volo rifece il pallonetto. Applaudimmo a lungo, replicare una rete simile pareva impossibile”.


Ha raccontato spesso del passaggio della maglia 10. Com’è andata?
“Giocavamo a Pisa. In pullman Diego mi prese in giro: “Gianfranco, domani metto la 9 e tu la 10. Ma non illuderti, lo faccio solo perché voglio onorare Antonio”. Careca era out, Maradona rise a lungo, vedendo la mia faccia basita. Ma è anche vero che a Ferlaino disse che per sostituirlo non dovevano comprare nessuno perché c’ero io. Sì, il 2020 è stato un anno impietoso: si è preso anche Paolo Rossi, con Antognoni e Bruno Conti, idolo della mia generazione.

A proposito di Nazionale, qual è il flash back?
“Con l’Italia avrei voluto dare di più (35 presenze, 10 gol, ndr) ma l’espulsione assurda con la Nigeria a Usa ’90 e il rigore paratomi da Kopke della Germania nella corsa agli Europei ’96, hanno inciso”.

Però nessuno scorda il gol-vittoria a Wembley contro l’Inghilterra.
“Ero appena arrivato al Chelsea, mi ha aiutato molto”.

Da un bel lancio di Costacurta, stop, sterzata e sassata di destro.
(ride). “Billy dice di avermi cercato, penso stesse spazzando. Battute a parte, quella rete è tra le più care della mia carriera.

Dopo Maradona, chi?
“Maldini e Roby Baggio: unici. In un test benefico ho giocato con Ronaldinho e Iniesta, stratosferici. Mi sarebbe piaciuto duettare con Ronaldo, un marziano”.
Chi sceglie tra Cristiano Ronaldo o Messi?
“È come dover decidere tra Marylin Monroe e Carla Bruni. Mi sarei divertito con entrambi”.
Qual è la top undici tra quanti ha avuto al fianco?
Buffon, Ferrara, Baresi, Dessailly, Maldini, Lampard, Albertini, Di Matteo, Maradona, Roby Baggio e Careca. In panca, io con Peruzzi, Benarrivo, Francini, Poyet, Wise, Casiraghi, Vialli e Asprilla”.
L’allenatore?
“Nevio Scala e Arrigo Sacchi”.
Gianfranco, cosa c’è nel suo futuro
La famiglia. E tante altre cose meno che il calcio. Ho declinato varie proposte (in Ligue1-Francia, Championship-Inghilterra, ndr). Inoltre, con le panchine a Cagliari, a maggior ragione per l’enorme significato che ha per me la piazza rossoblù, e Birmingham ho capito che devo evitare subentri”.

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