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1970. Scopigno: “Il Cagliari? Alleno se ho voglia. Giocano loro, mica io!”

Il Cagliari campione d’Italia è in ritiro ad Asiago. L’allenatore rossoblù Manlio Scopigno si lascia andare a una chiacchierata senza freni

(Fonte: La Stampa, 8 agosto 1970)

PIOGGIA. Lo Scudetto è stato conquistato da quasi 4 mesi, in archivio come il Mondiale in Messico con 6 cagliaritani tra gli azzurri vicecampioni. Ad Asiago piove e il giornalista Franco Costa strappa all’allenatore del Cagliari tricolore, Manlio Scopigno, una gustosissima chiacchierata prima della ritirata notturna. O meglio, quasi all’alba…


Il whisky? Con il whisky ho chiuso, definitivamente. Ora bevo champagne“.

La prima bottiglia di champagne arriva alle undici di sera. Sul resto dell’albergo è già sceso il silenzio. Si avverte soltanto il battito di una pioggia sempre più tenue. Nel salone del bar, attorno ad un tavolo, oltre a Scopigno ci sono tre dirigenti di società minori, un medico, un giovane allenatore, un ex giocatore (Bonafin) e due giornalisti.

Eccoci qui. In mezzo agli amici. Facciamo due chiacchiere e poi andiamo a dormire. Domattina mi tocca allenare la squadra. Se ho voglia, però, l’alleno. Altrimenti si preparano da soli. Per me le vacanze cominciano adesso. Guai a chi mi disturba. Non voglio i dirigenti al seguito proprio per questo. Nessuna squadra al mondo va in giro senza dirigenti. Tranne il Cagliari, campione d’Italia. Dai, Mario, metti il drink nei bicchieri“.

Pensa, stavo per lasciare il Cagliari. E sai per chi? Per la Juventus. Lo scorso campionato, prima della partita di Bari, quella che doveva segnare la fine di una nostra piccola crisi. Ero stato avvicinato a Roma. Non avevo detto né sì, né no. Mi ero riservato la risposta, insomma. Qualcuno, però, ha parlato e io so chi. Sono venuti a saperlo i giocatori, subito. Figurarsi se nel nostro ambiente si può tenere un segreto. Così nel ritiro di Bari, alla vigilia della partita mi sono trovato di fronte Riva e Cera“.

Mister, dobbiamo parlarle“, mi dicono. “Bene, avanti“. “Mister — dice Riva — se ci lascia, noi veniamo con lei, tutti in blocco abbandoniamo Cagliari, si ricordi di questa nostra decisione prima di prendere la sua“.

Mi sono inquietato, li ho minacciati, di che cosa non ricordo più, ma alla fine sono rimasto al Cagliari. Questo è il mio vero ambiente, nella Juventus forse mi troverei a disagio“.

Pensa che fortuna” — dice il medico — per la Juventus, Scopigno e Riva in un colpo solo“.

Beh — interviene Scopigno — adesso hanno Picchi. Mi sta pure bene, è un mio amico. Drink, Mario. Sigarette, anche, grazie“.

Ora parlaci di Riva” chiede Bonafin.

Riva — dice Scopigno — per poco in Messico non me lo rovinano. Troppe responsabilità, troppa popolarità. Se non fosse quello che è, sarebbe tornato indietro distrutto. Quest’anno mi farà trenta gol“.

Eh — dice un altro dirigente di società — non fosse stato per Rivera che ha aiutato Gigi cedendogli gioco…“.

Mario — interviene Scopigno — rallenta i drinks perché qui c’è già qualcuno ubriaco. Cosa sento dire… Riva può fare a meno sia del signor Rivera sia del signor Boninsegna, facendone a meno può fare meglio e non farmi dire altro“.

Non fategli dire altro” supplica Bonafin. Mezzanotte e mezzo. Siamo alla quinta bottiglia di champagne. Mario, intanto, ne ha messo al fresco un’altra. Fuori non piove più.

Manlio — dice Bonafin — ricorda quella volta di Nuti“. “È un po’ macabra — fa Scopigno, accendendo una sigaretta —. Però… Eravamo al Gallia, un anno o due fa, non importa. Al presidente del Vicenza, Farina, offrono Nuti, un centravanti che ha giocato qualche partita anche nella Fiorentina. Farina, però, non lo conosce, viene da me e mi chiede: ‘Senti, qui c’è il padre di Nuti. Mi offre suo figlio. Tu come lo giudichi?‘.

Ah, faccio io, è come Levratto“. “Allora è forte“, sorride Farina. “No – dico – è morto. Calcisticamente, s’intende“. “Beh, Farina si è offeso“.

Non ha paura — chiediamo — che un giorno o l’altro qualcuno finisca per prenderla sul serio?“. “Cosa me ne importa? E poi, se nella vita non ci divertiamo a polemizzare, quale gusto rimane, nel calcio soprattutto? Una materia che quando non si pratica è così squallida? No. Io sono fatto a mio modo, quello che penso lo dico. Senta, ho vinto il corso di Coverciano ai miei tempi, contro fior di allenatori e sa cos’è successo all’esame davanti a Ferrari? Mi ha chiesto come avrei utilizzato Lorenzi se l’avessi avuto in squadra. Gli ho risposto che io Lorenzi l’avrei cacciato. Mi ha promosso, primo della classe, non soltanto per quella domanda, ma anche per quella“.

Eppure sembra che lei reciti, a tratti“. “No — risponde Scopigno — non recito. Però so com’è il mondo, l’ho studiato e credo che la maniera migliore per prenderlo a volte sia quello di scherzarci sopra, di vivere allegramente. Una sigaretta, un bicchiere di champagne, la squadra che dorme, su in camera, gli amici attorno, come stasera. Non c’è altro di più bello della vita“.

Alla settima bottiglia da un litro, Scopigno decide di attenuare la dose: “Mario, porta quelle da mezzo litro“. Alle due e mezzo i tre dirigenti, Bonafin e il medico si alzano. Uno va a sbattere contro il vetro della porta convinto che fosse aperta. Attorno al tavolo restano Scopigno, i due giornalisti e un pittore, amico di Manlio, che cerca di recuperare lo champagne perduto nelle precedenti tre ore.

Ancora una sigaretta” dice Scopigno. “Eh, sì — continua — la Juventus piace a molta gente, ma delude anche tanta gente. Difficile confezionarle l’allenatore su misura“.

Lei non protesta per l’assunzione di Picchi, come hanno fatto altri suoi colleghi?“. “Fossi matto. Avrei potuto protestare per l’assunzione di Helenio Herrera, ma per Picchi no. Giovane, è bravo, ma deve ancora maturare, ovviamente. Insomma, spero che perda tempo nel fare grande questa Juventus, così noi un altro Scudetto lo possiamo ancora strappare. Eh, sì, ne avrei tante da raccontare“.

Ci racconti, ad esempio, perché è stato licenziato dal Cagliari tre anni fa“. “Non c’è un motivo vero. Mi hanno licenziato e basta“. “Ma dicono sia successo qualcosa durante la vostra trasferta in America“. “Se è successo, è successo dopo il licenziamento“.

Arrivano le quattro del mattino. Anche Manlio si arrende. Si alza e dopo una vigorosa stretta di mano sale nella sua camera annunciando: “Domattina quelli — e allude ai suoi giocatori — vorrebbero farmi alzare presto perché li allenassi. Se mi disturbano li caccio via, sono loro che devono giocare, non io“.

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