Il 17 novembre del 2002 allo stadio Sant’Elia si giocava Cagliari-Messina. A 8’ dalla fine un ultras, Massimo Meloni (che all’epoca del fatto aveva 29 anni), scavalcò la recinzione e, raggiunto il portiere dei siciliani Emanuele Manitta, lo colpì con un violento pugno in pieno volto, lasciandolo a terra. Lo sfortunato estremo difensore fu costretto a lasciare il campo in barella e accompagnato in ambulanza all’ospedale cagliaritano di Brotzu, dove rimase in osservazione tutta la notte per poi venire dimesso la mattina seguente. E, accompagnato dai dirigenti del Messina, si recò in questura per integrare il rapporto degli investigatori. “È stata una vigliaccata, anche per essere tifosi bisogna essere uomini. Per colpa di un deficiente sarà penalizzata un’intera tifoseria. Una cosa del genere non l’ho mai vista neanche nei campi più accesi della Serie C”, disse Manitta alla stampa in merito all’aggressione subita.
L’aggressore, identificato poche ore dopo la fine dell’incontro (grazie ai filmati della partita e alle immagini dei fotografi), fu rintracciato il giorno dopo e, durante l’interrogatorio, riconobbe le sue responsabilità. Meloni non era nuovo alle forze dell’ordine. In quel 2002 aveva precedenti penali per furto, rapina, lesioni, oltraggio e reati legati agli stupefacenti. “Chiedo scusa a tutti, ero fuori di testa”, disse ai giornalisti all’uscita dalla questura.
Per quell’episodio il Cagliari pagò con la sconfitta a tavolino, la squalifica del campo per tre giornate (poi ridotta a due) e diecimila euro di multa.