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Ceppitelli: “Vi racconto di me: la famiglia e l’infanzia. Il calcio mi ha cambiato”

Il racconto personale di Luca Ceppitelli. L’infanzia, la famiglia, la scelta di vita e la crescita ad Andria nella prima parte dell’intervista.

PARLA CEPPITELLI. Da Castiglione del Lago a Cagliari ci passa tutta una vita. Quella raccontata da Luca Ceppitelli, dalla famiglia al campo, dall’amore alle passioni personali, passando per le mille battaglie sul campo, ai microfoni di Cuore rossoblù, il magazine della società Cagliari Calcio.

Ecco le sue parole nella prima parte dell’intervista (qui la seconda parte; qui la terza parte).

GLI INIZI.Ho iniziato giocando in attacco. Ero bravo di testa e veloce, Poi a quattordici anni ho sviluppato tutto insieme: muscoli, peso e altezza. Cambia il mio passo e rallenta il mio scatto. I mister mi spostarono dietro. Da quel momento ho sempre giocato in difesa.

IL COLPO DI TESTA. “Ho imparato a colpire di testa nei giovanissimi, con un allenatore che credeva in questa mia dote. Il segreto non è la forza, ma prendere bene il tempo. Pavoletti è il più bravo. Non è umano, prende il tempo perfettamente e mette la palla dove vuole. In torsione, in tuffo e persino in arretramento. Ha una scarpa al posto del piede“.

LA FAMIGLIA.Nato e cresciuto a Castiglione, una terra bellissima immersa nel verde. Un’infanzia felice, arrivo al campo di calcio direttamente dai prati. Ho giocato anche a tennis, spinto da mio padre. Col calcio aveva un rapporto tormentato: aveva subito un brutto infortunio, un calcio allo stomaco gli stava per far perdere la milza. Ho spesso osservato la sua lunga cicatrice. Prima mi mise dei dubbi sul calcio, ma poi mi sostenne in tutto e per tutto. Mi diede una prima lezione: che la passione è più forte della paura. Mia madre è il vero eroe della mia infanzia: maestra, genitore e anche amica. Per noi faceva i salti mortali. Con lei e mia sorella siamo molto legati: abitiamo tutti a Cagliari ora“.

LA CRESCITA.Il calcio mi ha cambiato. Da piccolo ero introverso e chiuso. Mi frenava un timore indistinto. Lo sport di squadra per me è stato un esercizio. Uscire di casa, trovarmi improvvisamente nel mondo da solo, dover gestire rapporti di gruppo, umani e complessi, che speso andavano oltre i confini dello spogliatoio“.

LA SCELTA DI VITA.Ad Andria ci andai in una situazione che fu decisiva per la mia vita: mi comprarono e mi fecero il contratto. Il 4 dovevo partire per andare in Puglia, il 6 – mi ero iscritto all’Università – dovevo dar un esame. In quel momento ho capito che non stavo scegliendo solo cosa fare in un fine settimana, ma dove andare nella mia vita. Ho scelto di fare il professionista. E ho imparato cos’è giocare con la pressione del pubblico che ti avvolge ogni domenica“.

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