Terza e ultima parte dell’intervista di gianlucadimarzio.com a Massimo Rastelli. L’allenatore del Cagliari parla del suo passato da calciatore, dagli inizi in strada fino alla Serie A: “Da ragazzo ero una peste, con un amore innato per il pallone, dalla mattina alla sera tra i piedi: qualsiasi spazio poteva diventare un campo di gioco. Per la gioia di mia madre ho rotto di tutto. Per strada ricordo le partite interminabili con i miei amici, i famosi pali fatti con le felpe e i cancelli delle abitazioni a fare da porta. Una passione che poi mi ha spinto e mi ha permesso di arrivare fina alla Serie A“.
“Paura di non farcela? Mai. Ho sempre avuto in testa l’obiettivo di fare il calciatore e, nonostante momenti difficili, in cui ho dovuto fare sacrifici, ho sempre avuto la forza per resistere. Il mio è stato un percorso tortuoso, perché ho fatto dalla terza categoria alla serie D. Feci poi il grande salto in serie B, grazie al Catanzaro, quella è stata la svolta: lì ho capito che probabilmente ce l’avevo fatta, che potevo fare della mia grande passione un mestiere. La mia adolescenza era stata impostata per il raggiungimento del professionismo e tutte le piccole e grandi rinunce che avevo fatto da ragazzino trovarono coronamento”.
Conte è il modello come allenatore, ma a chi si ispirava il Rastelli calciatore? “Essendo un esterno che faceva della rapidità, della velocità il suo punto di forza, non potevo che ispirarmi a Bruno Conti. Mi piaceva molto anche Michael Laudrup, un altro grande interprete di quel periodo: erano il top nell’uno contro uno. Li seguivo cercando poi di riproporre in allenamento quello che avevo visto”.
Dal campo alla panchina il passo è breve: “Nel 2009 purtroppo mi ruppi i legamenti, il primo infortunio serio della mia carriera e capii che era finita, era arrivato il momento di smettere. Francesco Manniello e Francesco Giglio, allora proprietari della Juve Stabia, mi chiesero di scegliere se volevo fare il direttore sportivo o l’allenatore. Abbiamo vinto subito il campionato e da lì è iniziata la seconda parte della mia storia“.